Il papa e i medici tra vangelo e cura

Papa Francesco ha parlato sabato scorso all'Associazione dei medici cattolici italiani, in occasione del suo settantesimo. Parole che aiutano a vivere problemi drammatici e mai risolti una volta per sempre
medici

Papa Francesco, incontrando l’Associazione dei medici cattolici italiani, ha iniziato il suo intervento prendendo atto  dei cambiamenti imponenti avvenuti nella medicina e nella cura: «Non c’è dubbio – ha affermato – che ai nostri giorni, a motivo dei progressi scientifici e tecnici, sono notevolmente aumentate le possibilità di guarigione fisica e tuttavia per alcuni aspetti sembra diminuire la capacità di prendersi cura della persona soprattutto quando è sofferente, fragile e indifesa».

Qui si pone un grande problema: quello dell’accanimento terapeutico. Oggi le tecnologie permettono terapie che vanno oltre il loro limite. Tutti sanno che la spesa sanitaria si fonda su una strumentazione medicale dai costi altissimi e che permette a volte terapie lunghe e terribili che espropriano le persone della loro morte.Negli ospedali il pericolo non è oggi la morte “dolce”, ma una terapia infinita che frantuma il mistero della morte come ultima e suprema obbedienza a Dio. Questo avviene perché esiste la paura della morte da cui fuggiamo attraverso una continua ricerca di macchinari e di strumentazione medica, che va oltre i limiti della cura. Il risultato è che si affida la cura a delle macchine e non alla relazione.

Nel linguaggio del papa la vita non è un principio astratto, ma ha il volto, come lui stesso afferma, dell’ammalato, dell’anziano, del bambino, dunque la vita concreta di chi vive nella debolezza. Una vita non legata al benessere economico e definita dalla bellezza e dal godimento della vita fisica, ma dalle dimensioni relazionali e spirituali più profonde. «La vita umana è sempre sacra ed è sempre di qualità – sostiene Francesco -. Non esiste una vita più umana e più sacra di un’altra. Per questo la vita dei deboli, dei più piccoli e dei più fragili ha in un certo senso più dignità degli altri». Questo vale per il malato di ebola nel cuore dell’Africa e per chi muore nelle migliori e più raffinate cliniche.

Non ci sono poi “graduatorie”. Gesù ha vissuto l’abbandono sulla croce e dunque anche le morti abbandonate diventano degne davanti a Dio. Il papa dice ai medici: «Se il giuramento vi impegna a essere sempre servitori della vita, il vangelo vi spinge oltre, ad amarla sempre e comunque, soprattutto quando necessita di particolari attenzioni e cure».

E arriviamo al punto più alto del suo intervento, quando parla di “falsa compassione”. «Il pensiero dominante propone a volte “una falsa compassione “: quella che ritiene sia un aiuto alla donna favorire l’aborto, un atto di dignità procurare l’eutanasia, una conquista scientifica produrre un figlio considerato come un diritto invece di accoglierlo come un dono  o usare vite umane come cavie da laboratorio per salvarne presumibilmente  altre». La falsa compassione nasce quando si antepone alle persone l’ideologia, che cancella il dolore dei piccoli e dei fragili, dei feriti, degli anziani, dei bambini, con il loro volto e con la loro storia. In nome dell’idea si cancella il fratello, mentre i volti concreti  impediscono di uccidere. L’alternativa è la vera compassione secondo il vangelo, il cui modello di riferimento è il samaritano della parabola di Gesù. Dice il papa: «La compassione evangelica invece è quella che   accompagna nel momento del bisogno, cioè quella del buon samaritano che vede, ha compassione, si avvicina e offre aiuto concreto». I medici devono dunque essere come dei samaritani e in questa loro azione evangelica «possono giungere all’obiezione di coscienza».

Dunque nulla di automatico e deduttivo, ma una ricerca di radicalità evangelica che ci chiama al primato esistenziale e vitale dei più piccoli, per i quali non solo si offre una competenza sanitaria, ma si consegna la nostra stessa vita, pagando l’alto prezzo dell’amore. Lo chiedono i disabili, i moribondi, i concepiti che sono senza difesa, soprattutto i concepiti disabili.

Il Corriere della sera di domenica scorsa ricordava che, secondo i dati del Ministero della Sanità, in questo momento in Italia 7 ginecologi su 10 e un anestesista su due  sono obiettori di coscienza. Il dato sale nelle regioni del sud all’80 per cento, sfiorando addirittura in Basilicata il 90 per cento. Sono percentuali molto alte che fanno riflettere.

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