Il papa alla sinagoga: le parole e i nomi

Cosa è stato detto, e non detto, nella storica visita di Francesco nella visita alla sinagoga di Roma. Il percorso di fraternità come strada per rimuovere ogni fondamentalismo. A cominciare dalla Terra Santa, al dolore delle vittime dei conflitti verso la costruzione della pace
Sinagoga

La visita di papa Francesco alla sinagoga è un evento troppo grande per essere abbandonato al correre delle informazioni, in cui l’una mangia l’altra, in una voracità, che distrugge l’attenzione. Importanti parole e nomi sono stati detti, ma altri sono stati ignorati.

 

In modo sorprendente non c’è stato nessun riferimento alla preghiera di santa Marta di papa Francesco con Simon Peres, Abu Mazen e il patriarca Bartolomeo. Un gesto straordinario che ha posto il Medio oriente nella mani dell’unico Dio, il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe, il Dio di Gesù Cristo, il Dio compassionevole e misericordioso.

 

E’ sembrata evidente una censura sul gesto del papa, che ha chiamato alla preghiera, che unisce e dona pace, leader politici che hanno una grande responsabilità nel governo del Medio oriente e nel conflitto Israelo/palestinese. Il papa ha riconosciuto davanti a Dio, l’impegno di pace dei due leader, che in quel momento, all’inizio del luglio 2014 rappresentavano la vocazione pacifica dei due popoli.

 

Questo non può essere disperso per un pregiudizio politico/religioso, se davvero vogliamo percorrere il sentiero di Isaia, che è il sentiero della pace e della riconciliazione. Parole molto importanti, che, in quel contesto, Abu Mazen ha usato con forza profetica.

 

E’ singolare che un incontro di preghiera del papa con i leader mondiali, venga ignorato, per un ideologismo, che non porta da nessuna parte.

 

Sono state ricordati i nomi di alcune città in Israele, bagnate dal sangue innocente: Gerusalemme, Tel Aviv, Ytamar, Beth Shemes e  Sderot e si è rimosso il nome di Gaza. Il sangue versato è sempre innocente sia a Sderot e sia Gaza, sia a Gerusalemme, sia a Betlemme. Io sono stato in questi luoghi. In particolare a Beth Shemes, dove ho organizzato un campus di pace, con trenta ragazzi israeliani e  trenta palestinesi, ripetuto per tre anni. Gaza è accanto a Sderot. Bisogna ricordare i luoghi degli amici, ma anche dei nemici, perché nei luoghi vivono e muoiono le persone

 

Non dimentichiamo mai i nomi delle persone, in particolare dei ragazzi. Non rimaniamo prigionieri dei muri e dei confini. Quando sono stato a Gaza, superando barriere e controlli talora umilianti, ho percepito che c’erano due prigioni a cielo aperto, quella di Hamas e quella del governo israeliano.

 

Giustamente è stato ricordato Stefano come martire del terrorismo. Proprio perché ricordo e si ricorda lui, vogliamo ricordare Nafthtali, adolescente israeliano ucciso alla periferia di Hebron, nel luglio del 2014, dopo essere stato sequestrato da palestinesi all’uscita di una scuola rabbinica..

 

Ma vogliamo ricordare anche Mohamed ,ucciso da fanatici israeliani a Betania, alla periferia di Gerusalemme nell’estate del 2014 e un altro ragazzo di Jenin, il cui nome era Mohamed, ucciso il 5 novembre del 2005. I suoi organI sono stati donati dalla madre a cinque ragazzi israeliani .La lista sarebbe ben più lunga ,ma il senso di quello che vogliamo dire è chiaro.

 

Non si è detto  nulla del dialogo e dell’incontro con l’Islam. Neanche la parola musulmano appare negli interventi dei dirigenti della sinagoga. Dobbiamo ricordarci e ricordare che nessuna religione monoteista è esente dal pericolo tragico del fondamentalismo.  E il fondamentalismo scatena la violenza e la guerra.

 

E dunque la partita va giocata insieme, con coraggio, combattendo con mitezza e fortezza la tentazione  di imprigionare Dio nella nostra parte di terra ,di usare Dio, per proteggere le nostre terre. Si pone qui la possibilità e la libertà di criticare Israele e il suo governo, senza per questo essere considerati antisemiti. Non tutti i governanti di Israele sono stati grandi leader. Alcuni hanno avuto grandi visioni, altri con le loro scelte hanno reso più fragile l’anima di Israele e il suo peso in tutto il Medio oriente .

 

Soprattutto l’antisemitismo non lo si combatte con la guerra. Anzi la guerra lo dilata in maniera terribile. La sicurezza di Israele non sta nelle mani della violenza, che semina e moltiplica l’odio. Sta qui la vera sfida delle religioni monoteiste al mondo. Insieme nel dialogo e nella verità devono uscire dal fondamentalismo

 

Papa Francesco, con semplicità e mitezza ha indicato la strada, che è quella del profeta Isaia, il sentiero della fraternità: Una fraternità non con alcuni, ma con tutti: ebrei, cristiani e musulmani, in quanto figli di un unico Dio, senza dimenticare la profondità e la forza dei legami spirituali .

 

Ha detto papa Francesco: «proprio da un punto di vista teologico, appare chiaramente l’inscindibile legame  che unisce i cristiani e gli ebrei. I cristiani, per comprendere se stessi, non possono non fare riferimento alle radici ebraiche  e la Chiesa ,pur professando la salvezza attraverso la fede in Cristo ,riconosce la irrevocabilità dell’Antica alleanza e l’amore costante e fedele di Dio per Israele».

 

Il papa conclude con un grande impegno per la pace: «ogni essere umano, in quanto creatura di Dio ,è nostro fratello, indipendentemente  dalla sua origine e dalla sua appartenenza religiosa. Ogni persona va guardata con benevolenza, come fa Dio che porge la sua mano a tutti……..Né la violenza, né la morte  avranno mai l’ultima parola davanti a Dio ,che è il Dio dell’amore e della vita….   Noi dobbiamo pregarlo con insistenza ,affinché ci aiuti a praticare in Europa, in Terra santa, in Medio oriente, in Africa e in ogni altra parte del mondo la logica della pace, della riconciliazione ,del perdono  e della vita».

 

Ecco la proposta di papa Francesco agli ebrei italiani e non solo. Come diceva papa Giovanni, cogliere ciò che ci unisce e non ciò che ci divide. La fraternità, la riconciliazione e il perdono spezzano i muri fuori e dentro di noi: i muri della inimicizia, i muri che oggi separano israeliani e palestinesi e rendono il Medio oriente un grande giacimento di conflitti.

 

Ricordiamo Stefano, ma anche Naftali, I due Mohammed ,ma anche i rabbini uccisi a colpi di accetta il 19 novembre 2014, le  famiglie di Gaza e le famiglie travolte dalla guerra in Medio oriente. Il loro ricordo incessante ci impone di abitare il perdono e non la vendetta. Il Dio dei tre grandi monoteismi ha cancellato la guerra e il suo uso.

 

Le vittime, con i loro infiniti volti , si pongono davanti a noi , con il loro magistero di fraternità e di condivisione. Il papa ricorda ai nostri fratelli ebrei italiani e anche a noi, che la pace nasce dalle vittime  e che alla pace non c’è alternativa, se non vogliamo perire tutti. Ecco l’universalismo dell’umano, che  giudica tutti e chiama le tre religioni monoteiste  a non rimanere imprigionate in conflitti politici, a non giustificare mai la guerra e la violenza.

 

Quando sono andato a trovare i parenti dei rabbini uccisi a Gerusalemme, ho trovato nelle loro case mitezza e compostezza e non vendetta e aggressione. Davvero una anticipazione di tempi nuovi, che gli ebrei italiani devono con coraggio perseguire. In questo papa Francesco sarà fratello di strada e viandante di pace.

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