Il papa a Torino
La piazza gremita. I momenti intensi e silenziosi. L'icona del Sabato santo. I santi sociali.
100 mila persone si sono alternate ieri in piazza San Carlo, tra la mattina e il pomeriggio, per la celebrazione della messa e per l’incontro con i giovani. Di un giorno così coinvolgente, solo tre istantanee, memorabili.
La prima: quando per ben due volte, durante la messa, la piazza gremita s’è immersa nel totale silenzio. Dopo l’omelia del papa e dopo l’eucaristia. Un silenzio impressionante, profondo, di autentica meditazione.
La seconda: quando di fronte alla Sindone il papa la chiama «icona del Sabato santo», «simbolo del nascondimento di Dio», «dell’umanità oscurata del XX secolo».
È difficile comprendere il Sabato santo, se non si è ebrei. Ma al tempo dei fatti, ebrei erano tutti i seguaci di Gesù. Possiamo solo immaginare la disperazione che li insidiava, l’oscurità che li sovrastava. Per gli ebrei il sabato, lo Shabbat, è il giorno della potenza di Dio, il ricordo della gloria della creazione. Tristezza, lacrime e lutti sono banditi, si festeggia, si accendono le luci: è il tempo consacrato alla vita. Si recita il Salmo 92: «Il Signore regna, si ammanta di splendore…».
Proprio in quel giorno l’uomo-Dio è nel sepolcro. Il suo cadavere è livido, gonfio, tumefatto, sanguinante, arreso alla morte, come è impresso nel telo della Sindone. Pareva, quel giorno, esserci un solo vincitore: la Natura, «belva enorme, implacabile e cieca», come scriveva Dostoevskij.
Il papa ha riportato a quell’oscurità devastante del Sabato santo. Ha ricordato che quell’orrore è anche la prefigurazione della risurrezione.
La terza istantanea: quando più volte, a più riprese, sia il papa sia le autorità civili hanno nominato i santi sociali di Torino. Che hanno saputo calarsi nell’oscurità del Sabato santo, nell’orrore, per portare un po’ di risurrezione a qualcuno.