Il Pakistan dopo le elezioni: speranze e contrasti
Il popolo pakistano è riuscito a confondere i sondaggisti e gli esperti. A dieci giorni dalle elezioni la polvere della retorica si sta diradando e si può guardare con un po’ di obiettività al risultato elettorale. Ha stravinto la Pakistan muslim legue – N, dove la "N" sta per Nawaz Sharif. Già delfino del dittatore Zia Ul-Haq, un paio di volte Primo ministro (fatto dimettere la prima volta nel 1993 a seguito di accuse di corruzione, e la seconda nel 1999 con il colpo di stato del generale Musharraf) sarà il nuovo capo del governo. Il suo partito, con 124 seggi su 272, ha quasi la maggioranza assoluta e potrà facilmente formare un governo anche con l’appoggio di alcuni parlamentari "indipendenti" (che spesso offrono il loro sostegno, in modo non proprio gratuito, a chi vince le elezioni).
I sondaggisti e i commentatori più navigati si aspettavano di vedere un testa a testa con l’alfiere del cambiamento, Imran Khan, del Partito della giustizia. Khan, già capitano della nazionale cricket, campione del mondo, è entrato in politica tentando di rivoluzionare il quadro politico del Paese e ha certamente raggiunto un grande risultato (dai 2 seggi del 2008 ai 27 seggi di oggi), senza però riuscire a vincere in più collegi uninominali, contando sulla forza del numeroso voto giovanile.
Il voto del Pakistan ha dimostrato ancora una volta che la politica e il governo seguono in buona parte delle linee feudali, di tipo tribale e familiare, più che ispirarsi a partiti o movimenti ideologici. Questo impedisce il cambiamento, ma immunizza il Paese da sollevazioni sul modello delle cosidette "Primavere arabe".
La prima transizione democratica Era la prima volta che il Pakistan andava alle elezioni dopo il completamento regolare della legislatura. In passato i governi civili erano sempre stati interrotti da colpi di Stato militari. Ma tanti segni sembrano indicare che finalmente i diversi poteri dello Stato stanno percorrendo un cammino di riconciliazione e collaborazione per una strategia comune che potrà portare dei validi benefìci al popolo.
Contraddizioni Come tutto quello che accade in Pakistan, gli estremi convivono gomito a gomito. Da una parte la campagna elettorale non è stata equa, perché segnata da una grave ed esplicita minaccia di attentati da parte dei talebani contro i partiti cosiddetti "secolari" che rifiutano di mescolare religione e politica. Il Pakistan people party, il Mqm di Karachi, l’Awami national party sono i tre partiti che erano al governo e che non hanno praticamente partecipato alla campagna elettorale. In questo senso i talebani sembrano essere riusciti ad influenzare il risultato elettorale. Dall’altra parte queste elezioni hanno visto un notevole aumento della partecipazione al voto (superiore al 60 per cento, quando nelle precedenti elezioni era del 38 per cento) che nessuno si aspettava, nonostante il pericolo di attentati.
Le donne Anche il diritto di voto delle donne è stato abbastanza rispettato. I media ne hanno parlato molto e anche Malala Yousufza, studentessa pakistana famosa per la sua battaglia per il diritto allo studio e quasi uccisa dai talebani lo scorso anno, ha incoraggiato le donne a recarsi a votare. In una delle elezioni più sanguinose (81 persone uccise, 437 ferite in 119 attacchi violenti), la gente ha dimostrato una tranquillità e una partecipazione politica sorprendenti.
Nella discussione politica la parte del leone l’hanno fatta i grandi comizi e le televisioni che ormai ospitano lunghi e seguitissimi talk show di tutti i tipi, ricchi di tanti argomenti di politica e che hanno una indubbia influenza sulla mentalità delle persone.
Le contestazioni Abbiamo assistito, da un lato, alla sorprendente correttezza e lealtà nel riconoscere la sconfitta, nel congratularsi con gli avversari per la vittoria e nel dimettersi dalle cariche del proprio partito per aver perso le elezioni. Allo stesso tempo si convive con la mancata accettazione in alcune zone (soprattutto nella tribolata metropoli di Karachi) dei risultati elettorali e con proteste e manifestazioni per presunti brogli, scontri fino a veri e propri omicidi politici (qualche giorno fa è stata uccisa la vicepresidente del Partito della giustizia di Imran Khan).
Sfide e speranze Le sfide sono enormi. La crisi economica globale ha esacerbato esponenzialmente i punti di rottura dell’infrastruttura del sistema economico. I servizi di base sono razionati: l’acqua (un po’), il gas (molto), l’elettricità (dalle 6 alle 20 ore al giorno manca). In queste condizioni i giovani non trovano lavoro, non vedono un futuro davanti a sé.
Una grande sfida è quella della lotta al terrorismo e agli attacchi dei talebani. Quale strategia usare? Combattere militarmente e rispondere ad ogni colpo? O cercare di affrontare un dialogo che sembra a tratti impossibile? Non è facile trovare risposte efficaci a queste sfide. Nawaz Sharif ha già detto che ha scelto la via del dialogo e delle trattative.
Ora non resta che attendere e vedere se il nuovo governo riuscirà a mantenere qualche promessa e almeno ad attenuare il peso dei problemi quotidiani delle persone. Nella rassegnazione e nella grande capacità di resistenza del popolo pakistano si apre comunque qualche raggio di speranza.