Il Paese delle badanti e del vino
La piccola Moldova ha la vocazione a far da ponte tra Est e Ovest europeo. Il precario presente. Ma dov'è la classe media? All'estero.
Oggi è festa a Chişinau, dedicata al “manto di Maria”. Una festa ecumenica, religiosamente e civilmente. Non a caso i politici partecipano ai riti, anche se la politica da queste parti non gode di buona salute: qui non c’è ancora un presidente e in Romania cade un governo dietro l’altro. E nello Stato-non-Stato della Transnistria – sottile striscia di terra al confine con l’Ucraina autoproclamatasi indipendente – si vive nel limbo geopolitico vetero-comunista, mentre l’Ucraina è in perenne conflitto col Cremlino per il gas. Fa freddo, il sole brilla a illuminare una città che scende in strada e che s’agglutina attorno alle bancarelle, alle donne di campagna che vendono caffè caldo e bastoncini di strudel, ai chioschi dove si suonano musiche folcloristiche.
M’avvicino alla cattedrale ortodossa. Una folla in preghiera s’accalca attorno ad un piccolo catafalco, percorsa da fremiti di quella passione spirituale, tipica della tradizione ortodossa, che ha bisogno di espressioni materiali della fede. Un paio di pope afferrano al volo foulard, sciarpe e cappelli che la gente lancia verso di loro e li strofinano contro la cassa prima di rispedirli al mittente: è l’urna che racchiude le reliquie più preziose.
Un corteo dei prelati – coloratissimi, prevalgono l’oro e l’azzurro – fende la folla e porta il metropolita a issarsi sull’ultimo gradino della scalinata, dove appare anche un microfono e con esso il sindaco. E così fede e politica si presentano alle folle per rassicurare, per invitare all’obbedienza, per dimostrare che c’è ancora chi veglia su giorni e notti degli abitanti della piccola-grande Moldova.
Homo moldavus
Nella cattedrale cattolica il clima è più discreto, moderato, direi dimesso. La gente prega con anima e corpo, spiegando come mai la piccola Chiesa cattolica – meno dell’uno per cento della popolazione – abbia tanta capacità d’influire positivamente sul Paese.
Mons. Anton Coşa è arrivato in Moldova nel 1990: «C’era una sola parrocchia cattolica e un solo sacerdote, ma anche 36 comunità senza prete, che frequentavano le chiese ortodosse ma con una fortissima coscienza di cattolicità. Oggi ci sono 32 sacerdoti, due diaconi permanenti e tante attività sociali». I preti vengono da altri Paesi (solo tre sono locali), e la maggioranza appartiene a ordini religiosi: dehoniani, salesiani, francescani… E ci sono dodici congregazioni di religiose ».
Si parla con mons. Coşa dell’ortodossia, che qui in Moldova conta due metropoliti legati a Mosca e a Bucarest: «C’è un buon rapporto con i pope ortodossi e con alcuni vescovi, come l’arcivescovo di Tiraspol, Iustinian, un caro amico. Si parla bene gli uni degli altri, non è cosa da poco. I rapporti con gli ortodossi sono necessari, perché sono la stragrande maggioranza e perché siamo sulla stessa barca di un Paese che si sta ritrovando. Così anche le autorità ci vedono come interlocutori credibili». Politici? «La classe governativa e parlamentare non è formata. Ma ci guarda con attenzione, perché siamo stabili nella mutabilità generale. Ci considerano gente che diffonde valori umani e religiosi senza interessi».
Il moldavo, secondo mons. Coşa, non è una «entità umana astratta, ha una sua vocazione. La Bessarabia ha sofferto molto, tirata da una parte dal polo rumeno-latino e dall’altra da quello russo-slavo: ha una chiara vocazione alla interculturalità. Anche nella religione il popolo ha una sua vocazione: permettere la convivenza delle tradizioni russa, rumena, bulgara e costantinopolitana». Sotto i sovietici una chiesa ortodossa è sempre rimasta aperta, accanto ad una cappella cattolica, nel cimitero armeno.
All’Ovest spesso si sente dire che la dimensione morale non sia al culmine dei pensieri dei moldavi. «Ogni popolo ha le sue pecore nere. È un mondo che ha perso tanti valori con la caduta del comunismo. Ci credevano! Cosa resta? Tanti si volgono verso Dio, ma la maggioranza è presa dalla lotta per la sopravvivenza. La famiglia allargata regge ancora, meno le coppie». Caos? «Non è che nei Paesi vicini la situazione sia migliore. Ci sono enormi problemi sociali e morali dovuti all’emigrazione, che però ha sguinzagliato centinaia di migliaia di ambasciatori e ambasciatrici della Moldova in Europa. Le badanti sono infinitamente più numerose degli sbandati».
Free Europe e Free Moldova?
Il panorama non è dei più tranquillizzanti, almeno dal punto di vista civile e sociale. E la politica? Vasile Botnaru è uno dei più lucidi osservatori in Moldova. Dirige Radio Free Europe. «I comunisti hanno ancora in mano il bandolo della matassa – mi spiega –. Medvedev è appena venuto qui a Chişinau, e ha sostenuto il candidato alla presidenza Marian Lupu, che non è più comunista, ma lo è stato. Ora, l’elezione del presidente è un terno al lotto, perché la maggioranza attuale manca di 8 voti, necessari per arrivare ai 60 su 101 che la Costituzione prevede. Lupu, pur ambiguo, è l’unico che potrebbe assicurare una certa continuità. Ma la maggioranza sembra preferire le elezioni».
Giovane democrazia? «Se i comunisti ricostruissero un’alleanza con Lupu e i socialdemocratici, potrebbe crearsi un problema di tenuta della democrazia. Si verificherebbe così una “transnistrizzazione” della Moldova, e non una “moldovizzazione” della Transnistria. È un rischio reale». Nello scorso aprile, dei manifestanti hanno messo a ferro e fuoco il quartiere del governo, issando la bandiera rumena sul pennone del palazzo presidenziale. Erano sinceri o manipolati? «Credo vi fosse all’inizio una sincera motivazione, non c’è nulla che provi un piano preconcetto. Si esprimeva un sincero malessere della popolazione, stanca di essere governata dagli ex comunisti. Certo, le zone d’ombra sono evidenti: sono state filmate delle persone che hanno aperto apposta le porte del palazzo presidenziale».
L’immigrazione è “il” problema del Paese, ma anche la sua risorsa: «Non è facile costruire una società senza le forze vive del Paese. Bisogna attirarle perché rientrino. Dovrebbero capire l’utilità di lavorare in Moldova e per essa, anche perché all’estero svolgono lavori umili, non consoni alla loro preparazione. Il governo dovrebbe trovare gli stimoli giusti per far rientrare gli emigrati, perché qui la classe media, quella che di solito sostiene la democrazia, è un vero problema: non esiste, semplicemente. Questa è la principale sfida per il nostro Paese. Non abbiamo gente che possa costruire la società civile, economica e culturale. Il livello degli studenti universitari è ormai molto, ma molto scarso».
Il vice premier volenteroso
Cerco un contatto con qualche uomo politico. Impresa difficile, sfuggono. Alla fine m’accoglie l’on. Iurie Leanca, giovanissimo vice premier del governo di Vlad Filat e ministro degli Esteri. Lo incontro in un ufficio privo di quadri, come quelli simili visti nelle regioni post-sovietiche, a testimonianza della precarietà dei governi: da un giorno all’altro si può essere cacciati dalla volontà popolare ballerina o dagli intrighi di palazzo.
Parliamo delle priorità del governo. «Innanzitutto ristabilire rapporti costanti con l’Europa, e così trovare il nostro posto nella famiglia dei Paesi latini. Certo, dobbiamo guardare anche ad Est, ma guardando a Ovest. In questo contesto vanno considerate le relazioni con l’Italia, oggi più che buone. In secondo luogo dobbiamo prenderci cura, anche come governo, della grande percentuale di moldavi che vivono all’estero e dimostrare che in massima parte sono persone civili e non criminali. Dobbiamo riuscire anche a creare quelle opportunità che permettano a tanti moldavi di non lasciare il Paese per sopravvivere».
L’on. Leanca parla di Europa come un ritornello… «Guardi, il rientro nel girone dell’Europa è il primo punto del nostro programma di governo. Vorremmo che l’Europa riconoscesse che siamo europei, e aprisse perciò i negoziati preliminari per entrare nell’Unione, come è successo per tanti altri Paesi, Turchia inclusa». I russi accettano questa vostra tendenza europeista? «Sono ancora molto influenti in Moldova: basti pensare che l’80 per cento del gas che consumiamo viene dalla Siberia. Li rispettiamo e vogliamo mantenere anche con loro buoni rapporti. Vogliamo usare lo stesso linguaggio con Bruxelles e Mosca. Ma all’Europa non rinunceremo».
E la gente continua a passeggiare
Il sole se ne va, il cielo s’ammanta d’un grigio carico di gelo. Ma la gente continua a camminare su e giù per il viale che taglia in due la città. La gente continua ad agglutinarsi, ma ora attorno ai barbecue su cui si grigliano salsicce e spiedini, peperoni e dolci mielosi. E chiacchiera, sbocconcella lo zucchero filato, beve birra Chişinau e vino di Cricova. E si riconosce nei simboli dell’immaginario collettivo moldavo: bandiera, icone e telefonini. E sarà così fino a sera, finché il freddo non vincerà.
Ventimila visti per l’Italia
Ha operato in Albania, al culmine della crisi degli anni Novanta, aprendo il consolato di Scutari. Poi, a Roma, ha diretto l’ufficio visti del ministero. Quindi Kuwait (il “caso Erika” fu lui a gestirlo) e Nassirya. Infine, nel febbraio 2009, l’apertura dell’ambasciata in una delle terre più sensibili per l’immigrazione clandestina verso l’Italia, cioè la Moldova. L’ambasciatore Stefano De Leo ha un curriculum di tutto rispetto. «Mi sono trovato ad affrontare una situazione difficile: l’ambasciata in Romania distribuiva i visti, ma c’era poca trasparenza qui in Moldova, perché la gente era solita rivolgersi ad agenzie che facevano pagare migliaia di euro un visto che, in realtà, ne costava 35. Così, appena aperta l’ambasciata, ci siamo impegnati a informare e ad accorciare i tempi di attesa, grazie soprattutto ai contatti diretti e a un call center. Non gestiamo fascicoli, ma persone in carne e ossa, con grandi aspettative e gravi angosce. Ci siamo appoggiati soprattutto al mondo cattolico presente in Moldova; in particolare abbiamo stipulato una convenzione con la Fondazione Regina Pacis di don Cesare Lodeserto, un prete leccese già in prima linea al tempo della “invasione” albanese nelle Puglie. Cura la comunicazione e la fluidificazione delle pratiche. Così abbiamo già prodotto più di ventimila visti».
Lo “zoccolo duro” è di duemila visti di lunga durata al mese: «Favoriamo le visite familiari, che creano un forte clima di fiducia in un Paese noto per l’emigrazione selvaggia. Non c’è interesse a ostacolare i visti: la gente, se sa di poter tornare, non diventa clandestina, condizione in cui è più facile delinquere. Quando devo rifiutare un visto, e capita, ci penso due volte. Ora stiamo affrontando un altro capitolo, quello dei matrimoni misti. Ma questa è un’altra storia».
La Moldova nel giudizio di De Leo: «Nella Costituzione è evidente una forte propensione verso l’Europa unita, anche se la storia, innegabile, spinge il Paese a girarsi anche verso Mosca. La Moldova, quindi, vuole e deve dialogare in entrambe le direzioni. Tra l’altro, può favorire l’entrata dei prodotti europei, anche italiani, in tutta la galassia Csi».
Politicamente il Paese ha una sua instabilità. «Certo, ma si avverte un cambio di rotta, il crescere del desiderio di insediarsi nell’orbita europea; anche se i retaggi sovietici sono ancora tanti, come la non chiara distinzione tra i tre poteri, la tendenza ai brogli elettorali, la non chiarezza dei politici… E poi, avere un terzo della popolazione all’estero non è cosa da poco: qui restano gli anziani, nostalgici del periodo sovietico, e i giovanissimi, attratti invece dal consumismo occidentale. I moderati sono all’estero e non votano, mentre dei residenti vota solo il 60 per cento. Fate un po’ voi i calcoli…».
Le qualità dei moldavi? «C’è una forte valenza della famiglia, malgrado le apparenze. Si nota pure una forte religiosità, che però non si traduce in comportamenti conseguenti. I moldavi, inoltre, hanno una straordinaria capacità di affrontare situazioni difficili e sofferenze indicibili. Il moldavo è (o potrebbe essere) un grande lavoratore e un bravo comunicatore».
Emergenza ragazzi
Le attività sociali dei cattolici sono molto apprezzate. La Caritas coinvolge 120 collaboratori nell’assistenza dei malati a domicilio, nella cura di bambini e anziani, nell’attenzione alle fasce più deboli: 1200 pasti al giorno, sei scuole materne, progetti per il miglioramento delle scuole pubbliche. C’è poi il “ministero pastorale-sociale”, per aiutare la gente a curare casa e famiglia, a risolvere problemi di ogni natura, a «prendere in mano la propria vita». Il bagno non funziona? Per mancanza di soldi o negligenza, lo si lascia andare in malora. Con un piccolo aiuto finanziario si porta la gente a riparare il bagno e poi a mantenerlo in funzione. In questa azione si coinvolgono interi nuclei familiari.
Don Sergio Bergamin è salesiano. È stato inviato in Moldova per l’emergenza ragazzi: «Ci fu segnalata un’officina meccanica sotto sequestro – mi dice –. La periferia detta Muncesti era inguardabile, la gente diffidente, le strade impraticabili, il quartiere era un ricettacolo di delinquenti. Però i bambini e i ragazzi per le strade erano tantissimi: per un salesiano questo è il primo criterio di scelta, anche se di cattolici qui non ce n’erano. Solo in un secondo momento si sono fatti vivi. Ed eccoci qui».
L’edificio comincia ad avere una sua dignità, stanno persino tirando su una chiesa. I ragazzi giocano a basket, a pingpong, a calcetto: «Vengono col passaparola, da mane a sera. Sono ragazzi quasi sempre senza motivazioni. Non riescono a sognare, perché i loro genitori, se ci sono, sono all’estero; perché i salari sono bassi… Organizziamo corsi di computer, falegnameria, tipografia… Più in generale curiamo la loro manualità, senza dimenticare danza, musica e mimo». Famiglia? «Il 60 per cento dei bambini e dei ragazzi in effetti non ha i genitori, per diversi motivi. Qui da noi trovano la loro famiglia. Un bambino m’ha chiesto un giorno: “Perché fate questo? Perché ci accogliete e non ci chiedete soldi? Perché ci amate?”. La gratuità non si sa cosa sia».
Conclude don Sergio: «La mancanza di regole etiche non è solo una conseguenza del comunismo, è anche un’espressione non controllata della libertà. Si sente il desiderio di toccare le cose con le proprie mani, al di là di ogni morale: senza marito, senza famiglia, senza scuole, senza Chiesa».
La Moldova in qualche cifra
Superficie km2: 33.700
Lingua: moldavo (rumeno)
Popolazione: 3.938.579 (2004)
Popolazione all’estero: 1.500.000 (stima)
Popolazione in Italia: 600.000 (stima)
Prodotto interno lordo: 5,1 miliardi di euro
Risorse produttive: vino e birra, agricoltura, allevamento, industria manifatturiera, fosfati
Religione: 93 per cento ortodossi, 0,5 cattolici