Il padre e lo straniero

L'ultima opera di Tognazzi è un film coraggioso, sostenuto dalla valida recitazione dei protagonisti
alessandro gassman

È un film che fa discutere, questo di Ricky Tognazzi. Per alcuni sopravvalutato, per altri non più che un buona prova del regista, per altri ancora qualcosa di pasticciato perché vuol mettere insieme troppi temi: la paternità mal vissuta e poi riscoperta, il rapporto tra marito e moglie, la disabilità dei figli, il contatto col mondo arabo, l’Italia individualista di oggi. Troppa carne al fuoco – si dice – perchè ne esca un buon film.

 

In verità, il lavoro di Tognazzi, pur con le pecche di un certo buonismo e qualche pesantezza di ritmo, tiene. In primo luogo perché Alessandro Gassman sostiene tutto il film, in un ruolo in cui crede fermamente: gioca in maniera convincente nel ruolo di Diego, padre di un piccolo disabile,  che a malapena accetta la fatica della paternità e soprattutto del dolore in famiglia. Poi, perché l’intreccio, ossia l’amicizia col ricco siriano Walid (il grande attore egiziano Amr Waked) dà luogo ad un tocco di suspence  tra l’onirico ed il thriller. E, non ultimo, la delicata figura di Ksenia Rappoport nel ruolo della madre del piccolo handicappato.

 

Il racconto è variegato: serate misteriose si alternano a soggiorni nel deserto o nel suk, il viaggio di Diego in Oriente è l’incontro con un mondo assai diverso da quello del romanocentrico personaggio e lo spinge ad una riflessione su sé stesso.

 

Certo, Tognazzi vuol dire molte cose nel suo film, per cui certe disuguaglianze di stile, o alcuni passaggi poco chiari non giovano alla scioltezza del racconto. Il regista però si mantiene fedele al testo omonimo di De Cataldo, anche sceneggiatore. Il risultato è quello di un film coraggioso. Nel segno dei valori, come l’amicizia, la paternità e l’uguaglianza degli esseri umani in cui dimostra di credere fino in fondo.

 

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