Il padre del Padreterno
Raccontare l’uomo nei suoi aspetti belli e meno belli, nelle sue sgangherate trovate, nei suoi crucci amari, nelle sue teatrali e argute performances, nelle sue bassezze e contraddizioni, ma anche nei suoi slanci ideali, senza perdere mai quella capacità di ironizzare e trascinare al sorriso, è questo il senso più vero della narrativa di Francesco Iodice. Dopo aver letto il primo suo libro, Il medico di Dio, ebbi forte la sensazione di trovarmi dinanzi ad un nuovo e autentico narratore, tanto da invitarlo a non demordere qualora l’ispirazione avesse fatto di nuovo capolino. La qual cosa è avvenuta con questa seconda raccolta di racconti dal titolo Il Padre del Padreterno, sempre per le Edizioni Midia, dove questo medico napoletano ha perso la timidezza di scrittura tipica di ogni opera prima, ed ha curato la narrazione con piglio più deciso ed audace, senza indulgere troppo ai mezzi toni, ma descrivendo vicende di una umanità frenetica, teatrale ed impulsiva, resa ancor più concitata dalle mirabolanti promesse di felicità di un sistema sociale che ha smarrito le coordinate dell’esistere. Punto infinitesimale tra una moltitudine di esseri simili e diversi, Iodice traccia il suo percorso girandolare attingendo nei ricordi, scoprendosituazioni inaspettate, affrontando problemi, evidenziando drammi, lanciando frecciate ilari e ammiccamenti sardonici, per planare poi alla fine, con un guizzo iridescente e sereno, verso una saggia accettazione della realtà, proprio come l’ultimo raggio di un sole d’estate che, dopo aver divampato nell’intero arco della giornata, tramonta quieto e soddisfatto dietro le ultime case della città. Ci racconta le sue storie con benevole e arguta intelligenza, e non senza un pizzico di graffiante humor, lì dove esplodono le contraddizioni. Memorabili le parole che chiudono il racconto È meglio il mare o la montagna?: “Ricordati che lamentarsi è il peccato più grande che possa commettere un uomo. Non apprezziamo quello che abbiamo e crediamo di essere degli sventurati, anche quando non ci manca niente. Essere felici potrebbe essere facile, ma il fatto disgraziato è che vogliamo essere più felici degli altri, che crediamo straordinariamente felici. In questo modo noi abbiamo posto le basi della nostra perenne infelicità”. Il Padre del Padreterno. Se c’è uno che per antonomasia non ha bisogno di medico – Il medico di Dio – e che non ha padre, questi è Dio, ma Iodice sembra che voglia far diventare questo Dio, avvertito dagli uomini onnipotente e troppo lontano, un essere vicino a tutti, fino all’estremo paradosso di renderlo figlio, nella mente malata di una povera creatura che, perdendo il senno, ritrova la propria identità come il Padre di Dio. Il racconto che dà il titolo al libro è ricco di immagini e di suggestioni simboliche che, se da una parte denunciano le nostre sconcezze di uomini sani dinanzi al problema della pazzia di un individuo, dall’altra paventano la pericolosità di una follia collettiva che pervade tanti strati delle nostre città. Molto bello anche l’epilogo del racconto Gli schiavi d’amore, dove il protagonista Antonio, dopo una estenuante giornata nella città impazzita, nel rapporto con la madre novantenne, ritrova il senso delle cose vere e grandi. Francesco Iodice è entrato nei quartieri, nei palazzi, negli ospedali, ha seguito le mosse della sua gente, ne ha analizzato le scelte, si è incantato dinanzi al paradossale, ha recalcitrato di fronte all’ottusa protervia, ed ha bruciato questo materiale vitale e incandescente nella pagina per consegnarci storie che, se pur datate, sono ormai fuori del tempo, perché tutte dentro il tempo del narrare che è tempo della memoria, della fantasia, dell’affabulazione, dell’intrigante finzione letteraria. Mondo della malasanità, amarezze provinciali, città formicolanti, ricordi d’infanzia e di giovinezza, vita di famiglia s’intrecciano in un carosello variegato, offerto con scatto istrionesco e intriso sempre di sincera moralità: spesso lo sgomento, l’amarezza, l’ironia dello scrittore occhieggiano qua e là tra le righe. Sia nei racconti più delicati ed emblematici, sia in quelli più spiccatamente realistici, la penna di Iodice diventa coltello nella piaga, e la sua scrittura – non dimentichiamo che Iodice è un affermato primario a Napoli – un’operazione “chirurgica” che risana.