Il nuovo vocabolario di Biden
Nel giorno dell’inaugurazione della presidenza di Joe Biden, il New York Times ha dedicato una corposa pagina ai 150 caratteri con cui Donald Trump ha apostrofato amici, nemici, avversari, media, capi di stato, collaboratori, supporter e familiari, facendo di Twitter, un diario della sua presidenza, della sua inquietudine, di successi e sovversioni. Compilati in ordine alfabetico e temporale i tweet dell’ex presidente cominciano da giugno del 2015 quando decise la candidatura tra le fila repubblicane, fino all’8 gennaio 2021 quando il social media ha deciso di eliminare il suo profilo definitivamente. Fake – falso è la parola più ricorrente e dedicata alla stampa come agli avversari a cui non lesina l’offensivo “pupazzo”o ancora “ingrato”. Poi ci sono le parole più citate dal 4 novembre 2020 al suo ultimo giorno sulla piattaforma social: “frode” e “furto” riferite alle elezioni.
Di ben altra natura è stato il vocabolario di Joe Biden nel giorno della sua inaugurazione e nel suo primo giorno da presidente, dove la parola pandemia si è concretizzata in ordini esecutivi su vaccini, distribuzione, coordinamento con gli Stati, utilizzo di una legge di guerra per spingere le fabbriche a produrre più dispositivi sanitari. Pandemia è la parola di un’emergenza che ha ucciso oltre 400 mila americani e contagiato 25 milioni, lasciandone tanti a casa, non solo senza un parente, ma anche senza lavoro. Per cui urgente è diventato l’aggettivo più adatto da associare a qualunque provvedimento sotto il nome di Covid e delle sue nefaste conseguenze.
Nel giorno del suo giuramento Biden si è trovato a pronunciare parole che non sono appartenute ai suoi predecessori come appunto pandemia, ma anche iniquità, estremismo e supremazia bianca. In piedi, sul punto dell’assalto alla casa delle istituzioni americane, Biden ha ripetuto per 11 volte la parola democrazia associandovi l’aggettivo di fragile e preziosa assieme al verbo “ha prevalso”. Il nuovo presidente ha anche ripetuto, più di ogni predecessore, parole di speranza, riferendosi all’America e all’amore mentre condivideva la sua visione per il Paese e implorava l’unità, anche questa ripetuta 11 volte anche come aggettivo “uniti”. È stata la parola più pronunciata tra tutti di discorsi inaugurali da Washington in giù, quasi una volta ogni due minuti a dire la centralità di questa missione per la nuova America di Biden, dove sono semplici le parole e semplici i valori che la devono governare.
Il vocabolario di Biden rivela anche il non detto, ma il visto da tutto il mondo e cioè umiltà, vulnerabilità, compassione, resilienza, interdipendenza, solidarietà. «Alcuni giorni hai bisogno di una mano; ci sono altri giorni in cui siamo chiamati a dare una mano» è la frase rivelativa dei valori del 46° presidente, che su quel Campidoglio ventoso ha stabilito il tono morale e culturale del Paese. Trasparenza e verità le parole che ha scelto per la sua comunicazione e che sono state annunciate nella prima conferenza stampa e poi “rispetto”: una parola che ha chiesto al suo staff, in videoconferenza e che assume i toni della reciprocità perché tutti, indipendentemente dal loro background, hanno «il diritto di essere trattati con decenza e dignità», ha ribadito il presidente. E poi la parola “storico” che definisce più di tutte il governo del presidente più anziano entrato in carica alla Casa Bianca. Storico è aver scelto Kamala Harris come vicepresidente, una donna e di colore a prova che serve anche il femminile a governare la prima economia del mondo. Ed è storico che Biden abbia scelto tante donne nel suo gabinetto e nella sua amministrazione e ha scelto la pluralità razziale, religiosa, culturale dei suoi collaboratori per guarire una nazione distrutta e divisa. È possibile che gli Stati Uniti possano uscire da questo trauma più trasformati di quanto possiamo immaginare e il merito sarà anche di un presidente che ha saputo essere più rivoluzionario delle attese, anche nel suo vocabolario civile per l’unità dell’America.