Il nuovo TG1

Dalla primissima formula del Giornale televisivo del 1954 a cadenza settimanale, con il decano dei lettori di Tg Riccardo Paladini, e dal primo responsabile dell’informazione televisiva Vittorio Veltroni, tanta storia del Paese è passata attraverso gli schermi della Rai, dapprima unica emittente, messa poi a confronto con le reti private, sempre più forti e competitive. In un primo tempo in modo sospettoso, sommesso, poi sempre più presente e pressante, la politica si è instaurata nei telegiornali in modi e con intrecci diversi, osservati con un’attenzione spesso piena di pretese, comunque definiti da norme e leggi sempre più attente alla reciproca influenza. Nel succedersi e moltiplicarsi, via via, dei telegiornali, il Tg1 è sempre stato considerato il più autorevole, quello più legato a una considerazione di ufficialità governativa, da un lato, e a una affidabilità e serietà professionale dall’altra. Grande è stata la responsabilità dei suoi direttori che si sono avvicendati nel dirigere un giornale così osservato da tanti punti di vista, e una certa aspettativa si è creata, da parte dei telespettatori, quando veniva designato un nuovo direttore. Così è stato anche per la nomina, circa un anno fa, di Gianni Riotta, giornalista per il Corriere della sera e per La Stampa, presente spesso in tv come opinionista. Dopo un anno di riflessioni, primi aggiustamenti, progettazioni, Riotta propone oggi al telespettatore una nuova formula del Tg1, che da lunedì 17 settembre è entrato nelle nostre case. Quando ha presentato il nuovo Tg1, il suo attuale direttore si è ampiamente soffermato sul restyling dello studio televisivo e della sigla, come segni di una novità non solo formale. Dobbiamo dargli atto che sì, la forma è mutata in meglio, con la grafica computerizzata, il colore dominante dello studio di un azzurro luminoso, gli schermi al plasma che circondano il conduttore. Anche la sigla è cambiata, abbandonando il tetro mappamondo visto fino a ieri, ed evitando lo stile trionfalistico della pur bella sigla precedente, con il giallo reticolo di paralleli e meridiani che si accendevano sul mondo. Qui c’è ancora l’ormai ineludibile mappamondo, ma trasparente, incolore, dall’apparenza liquida, con alcune linee chiare che lo percorrono. L’intento – ha chiarito Riotta – è quello di comunicare anche con questo nuovo logo che l’informazione e il Tg1 servono a rendere il mondo più trasparente, meno opaco e così vuole essere l’informazione del nuovo Tg. Se guardiamo il telegiornale, vediamo che le notizie vengono accostate le une alle altre con un ritmo spedito e incalzante, giocando su accostamenti non prevedibili: ad esempio, si parte dell’Afghanistan, dove sono stati sequestrati due militari italiani, con vari interventi e commenti, e si passa all’omicidio di Chiara Poggi, a Garlasco, poi a New York per la visita del presidente iraniano alla Columbia University, poi ancora alla vistosa protesta dei monaci buddhisti nel Myanmar, alle aggressioni alle coppie di fidanzati da parte di due malviventi catturati dai carabinieri, al ministro Di Pietro che chiede un rimpasto del governo per ridurre il numero dei ministeri, alla scomparsa in Portogallo della piccola Maddie, alle previsioni del Fondo monetario internazionale, alle esortazioni del presidente Napolitano ai politici perché siano esempio di correttezza e di responsabilità, alla laurea honoris causa al fisico Federico Faggin inventore del microprocessore, al direttore della Ducati, in carrozzella per un incidente di moto, con un suo bel ritratto umano, alle interviste ad Armani e a Roberto Cavalli, stilisti, con le immagini della moda, per finire con l’annuncio del programma della rete subito seguente. Ho riportato la successione degli argomenti trattati in una edizione qualsiasi, per mostrare come l’attenzione del telespettatore venga fatta rimbalzare, quasi fosse una pallina da ping pong, da una argomento all’altro, con l’intento dichiarato di richiamare i tre milioni di spettatori che evitano di guardare i telegiornali e di svegliare l’attenzione di tutti. Ed è ben vero che non si dorme, ma con questo stile si corre però il rischio di appiattire tutta la realtà alla dimensione di uno spettacolo dove, davanti a noi seduti in poltrona, si alternano le varie immagini di un mondo lontano che non ci riguardano e non ci toccano. E questa ci sembra un’espressione del relativismo imperante. C’è poi un altro elemento di cambiamento, su cui Riotta conta molto: è la figura del conduttore, portato ad essere lui stesso giornalista che informa, pronto a fare interviste in diretta e a dare un suo commento. La differente funzione del conduttore è uno degli elementi che dovrebbero esprimere modi nuovi di presentare i fatti della politica del paese. Questo è forse l’elemento di contenuto che sostanzialmente esprime la novità del Tg di Gianni Riotta. Eravamo abituati, un sera dopo l’altra, allo spettacolo del susseguirsi insistito dei primi piani degli esponenti di tutti i partiti, che in dieci secondi dovevano esprimere in battute-lampo pensieri prevedibili di difesa o di accusa di qualche iniziativa governativa, quasi una sorta di teatrino dei pupi dove a turno qualcuno bastona o è bastonato. Era, in gergo giornalistico, il cosiddetto pastone, dove venivano riportate le differenti opinioni politiche, una formula adottato precedentemente da Riotta stesso, per evitare l’altra modalità, quella del panino, cioè l’alternarsi di tre opinioni, una governativa, una dell’opposizione, una nuovamente governativa sulla situazione del giorno. Il pastone era sembrato innovativo e più democratico, all’inizio, ma a lungo andare era finito con l’essere visto come una passerella ripetitiva. Riotta, forse facilitato dalla situazione dell’opinione pubblica attuale, toccata da un’ondata di antipolitica, ha impresso un nuovo modo di fare informazione, affidando a differenti giornalisti, come Bruno Luverà, Marco Frittella, Costanza Crescimbeni, la Nota politica, con il compito di fare il punto della giornata, chiamando a intervenire, anche in diretta, l’uno o l’altro protagonista, sempre bilanciando le presenze del governo e quelle dell’opposizione, ma senza l’assillo della totalità delle voci. C’è un’ultima considerazione, da fare, e questa non positiva. Avevamo sperato che nel nuovo telegiornale la presenza della cronaca nera avesse un posto ridimensionato, senza pensare che addirittura scomparisse. No, non è successo. La cronaca torna implacabile, ripetuta, insistita, in tutti i telegiornali, tanto da toccare, ad esempio, i dieci minuti per un caso, quello dell’omicidio di Chiara Poggi e delle ricerche del suo assassino, davvero troppi, per un telegiornale nazionale, il più importante, alle otto della sera. Lo diciamo come un invito al direttore, perché anche per questo settore, come ha fatto per la politica, sappia trovare i modi per innovare, superando la logica degli ascolti legati a certi argomenti, con proposte differenti, più accattivanti, più significative per chi ascolta. Il mondo è grande, i fatti sono molteplici, senza dover cadere troppo sulla cronaca nera. Abbiamo letto che nel Tg1 troveranno posto nuove rubriche, dedicate ai libri, alla società, al volontariato, sulla tecnologia, sull’immigrazione integrata. Attendiamo questi spazi nuovi.

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