Il nuovo presidente

Quali dossier troverà aperti sulla scrivania del Quirinale chi verrà eletto? Che stile sarà opportuno che usi? Quali prospettive politiche aprire? Una riflessione tratta dal prossimo numero del quindicinale del Gruppo editoriale
elezioni

Il percorso dell'elezione del nuove presidente della Repubblica è un  elemento non poco importante per l’avvio di un settennato che voglia essere istituzionalmente rassicurante. Naturalmente speriamo che si eviti l’estenuante guerriglia che nel 2013 ebbe come soluzione la rielezione di Giorgio Napolitano. In ogni caso, da Enrico De Nicola in qua, cioè dalle 12 precedenti elezioni, abbiamo appreso a sufficienza che quella per il Quirinale è una partita imprevedibile, dove ben più che nei conclavi chi entra papa esce cardinale. E comunque sia andata speriamo di poter ravvisare nel nuovo presidente quel profilo e quelle qualità che i cittadini, nell’attesa della sue elezione, hanno manifestato come auspicabili.

Succedere a Giorgio Napolitano non è facile, se non altro perché con lui probabilmente si chiude la generazione cresciuta politicamente nel post-fascismo, quella per cui la politica è legata ai valori perenni della libertà, della giustizia, dell’eguaglianza e della democrazia, e può comportare il sacrificio della vita. Tutto il contrario di quello che appare nella classe politica degli ultimi anni, dominata dall’autoreferenzialità quando non dall’interesse personale, pervasa da un senso di vacuità istituzionale che si trasmette inesorabilmente ai cittadini. Sarebbe importante, se fosse stata scelta una personalità che abbia la statura politica di porsi come elemento di cerniera tra la storia e il futuro, incaricandosi di mantenere vivi i valori più alti. Tra questi, ve ne è uno che la Costituzione pone come ufficio specifico del presidente della Repubblica, che – dice l’art. 87 – «è il Capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale». Non è affare semplice, rappresentare l’unità nazionale (funzione che, tanto per dire, non compete all’arbitro). Anche sotto questo profilo la vecchia generazione appariva più versata, perché i tempi difficili avevano sì permesso la pluralità delle culture politiche, ispirate a valori spesso contrapposti, ma l’ethos pubblico era comune e l’appartenenza nazionale un valore indiscusso. Oggi assumersi questo compito vuol dire saper contribuire a ritrovare le ragioni della nostra convivenza civile e dell’appartenenza a un’unica nazione, senza retorica ma con realtà.

Una caratteristica che Napolitano ha sempre mantenuto è stata lo stile del linguaggio: asciutto e antiretorico, ma profondamente sostanziato di contenuti; ha saputo parlare a tutti, giovani o meno. Naturalmente, però, questo tipo di parola non nasce da nulla, né coincide con l’abilità oratoria; essa parte da lontano e nasce dalla capacità di superare le proprie personali inclinazioni per assumere su di sé la molteplicità del Paese.

Il capo dello Stato, chiunque sia, ha questo compito; ma senza il contributo di noi cittadini e anche di chi rappresenta l’opinione pubblica, difficilmente potrà riuscire. A noi spetta di guardare al nuovo presidente con occhio unitario, superando possibili perplessità; e i media dovrebbero ripristinare il vecchio tabù che impediva di superare una certa soglia di invettiva nei confronti del capo dello Stato, tabù che – senza limitare la libertà di stampa, ché non di questo si tratta – ha presidiato per decenni proprio la finalità istituzionale dell’unità nazionale, ma che ultimamente si è infranto, estendendo anche nei confronti del presidente della Repubblica i metodi tipici delle lotte faziose.

Se il Paese saprà essere più unito, ricapitolando nel proprio presidente le ragioni dell’identità nazionale, la sua figura avrà la forza necessaria anche per rappresentare il Paese in Europa e nel mondo. In un’epoca che coniuga crisi e globalizzazione e in cui ogni Paese sembra avviluppato nell’ambivalenza dell’interdipendenza e della difesa della propria identità, saper calcare con autorevolezza la scena internazionale è un compito di assoluta priorità. Che, tra l’altro, è necessario svolgere in piena sintonia con il governo e il suo presidente.

Anche qui: ci si aspetta che il presidente della Repubblica e il presidente del Consiglio sappiano stringere un’alleanza autentica, alta, senza subalternità reciproche né vere né apparenti. Quando tra i due non vi è stata sintonia, il Paese ha pagato un prezzo alto e la storia ne è rimasta segnata. Di questi tempi non si può correre questo rischio.

 

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons