Il nuovo cinema di Hollywood

Tra contaminazioni di genere e di culture, nella mecca del cinema si sperimenta ancora. A pochi giorni dalla notte degli Oscar vi proponiamo la seconda parte dell'intervista al critico cinematografico Marco Spagnoli sugli ultimi sviluppi e sulle novità
Hollywood

Continua il nostro viaggio nel cinema hollywoodiano con la seconda parte dell'intervista a Marco Spagnoli, cineasta, direttore di Festival e affermato critico cinematografico per numerose riviste cartacee e digitali.

Che linee editoriali e di pensiero si seguiranno nel futuro di Hollywood?
«Assisteremo sempre più a film evento tipo Lincoln, I miserabili, The Avengers, con motivazioni forti e produzioni di grandi qualità. Ci saranno sempre meno film sul baseball e su filoni adolescenziali perché sono poco redditizi. Non bisogna dimenticare che negli Usa c’è un competitore formidabile che è la televisione dove si realizzano film, fiction, programmi di alta qualità che fanno sparire la produzione di pellicole di media fattura. Il prodotto televisivo è ottimo anche perché grandi autori non disdegnano di lavorare nella tv. Al cinema, invece, vedremo generi quali biografie, fantascienza, fumetti, musical. La Marvel, per esempio, è gestita da quarantenni intelligenti e colti che stanno facendo un grande lavoro di volgarizzazione per un vasto pubblico con grandi registi e prodotti di alta qualità. Insomma, il cinema americano s’interroga su cosa produrre e si confronta con un pubblico molto attento».

C’è crisi anche a Hollywood?
«Il 2012 è andato benissimo con uno degli incassi maggiori al botteghino. Il cinema resta una forma di intrattenimento a basso costo, mentre il mercato dei dvd ha subìto vari danni a causa della pirateria».

Quali sono i tuoi film preferiti per gli Oscar 2013 e perché?
«Il mio favorito è Zero DarkThirty perché mi sembra un film nuovo, nella regia e nella storia. Non è una pellicola cronachistica, ma un racconto della realtà senza la pretesa di essere un documento. La protagonista interpretata da Jessica Chastain non è né bella, né simpatica, ma solo una donna che ha sofferto molto. Mi sono piaciuti anche Django e Il lato positivo perché sono reinvenzioni del genere western e della commedia romantica».

Pensi che il documentario sia la sola via per narrare il reale?
«Non sono d’accordo, facendo documentari mi chiedo se è veramente così, se è un reale vero o se è un’invenzione. La realtà è raccontata sia dai documentari sia dalla fiction, la differenza sta nel linguaggio e nel tipo di approccio alla storia. Mi sembra difficile dire che un film come Zero Dark Thirty racconti la realtà peggio di un documentario sullo stesso argomento. Negli ultimi anni, inoltre, si sono assottigliate le differenze: il documentario segue un linguaggio simile al cinema, le pellicole di finzione attingono allo stile del documentario per raccontare storie particolari. Il successo, poi, delle opere di Michael Moore ha cambiato la percezione del documentario, ma ci sono film di finzione come Schindler’s List che hanno raccontato e fatto comprendere l’olocausto come a nessun documentario è riuscito. Insomma, non ci sono più le staccionate del passato e ognuno usa il mezzo che gli è più congeniale. Andiamo incontro a dei cambiamenti derivanti dall’incontro tra le culture, com’è successo quando la samba si è incontrata con il jazz ed è nata la bossanova. Così nascerà un cinema nuovo tra le contaminazioni dei generi e delle culture. Ci sono dei filoni che sono esauriti e andiamo verso nuove direzioni».

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