Il nodo di Daraa
Daraa è la città dove è iniziata la rivolta siriana nel 2011. Sfidando veti, minacce e raid aerei, da due settimane il territorio di Daraa è sotto attacco da parte dell’esercito governativo siriano, ben determinato a recuperare anche questa parte del Paese di cui aveva perso il controllo più di sei anni fa. Dal 2012, infatti, la zona era occupata da formazioni antigovernative dell’Esercito siriano libero (Fsa), da qualche gruppo jihadista e da un piccolo presidio del Daesh.
I governativi sono ormai penetrati a fondo nel territorio e stanno dilagando anche ad Est verso Bosra e a Nord verso Qunaytra. L’aviazione siriana e quella russa colpiscono le postazioni ribelli provocando inevitabilmente vittime anche tra i civili in fuga. Almeno 210mila persone stanno fuggendo dalle zone di combattimento e altre 60mila si stanno ammassando nella zona del valico di Nassib, che segna il confine con la Giordania.
Ma l’esercito giordano, che controlla il valico, non lascia passare nessuno e i profughi si stanno accampando a ridosso del confine in attesa di poter tornare verso le loro case, o ciò che ne resterà. L’accordo di resa incondizionata per aver salva la vita, mediato dai russi, è stato rifiutato dai ribelli che forse sperano di fuggire nei Paesi vicini, in caso di sconfitta. Governativi e russi sono comunque molto attenti a non sconfinare verso le vicine alture del Golan. Anche se giuridicamente siriano, il Golan è occupato dai militari israeliani da oltre 50 anni, fin dal tempo della “Guerra dei sei giorni” nel 1967.
Un’anticipazione della posizione russa sulla questione l’ha fornita in certo modo il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, che ha dichiarato: «Alla fine solo le forze governative siriane devono rimanere ai confini della Siria con Israele». Vale a dire che la Russia si rende garante che nell’area di Daraa non ci siano pasdaran, hezbollah e altre formazioni sciite filo iraniane. In cambio di questa garanzia per gli israeliani, probabilmente i russi chiederanno come contropartita americana lo smantellamento della base militare statunitense di al-Tanf (confine siro-giordano-iracheno) e la riduzione dei consiglieri militari Usa nel Nord-Est della Siria, accanto alle milizie curdo-arabe (Sdf) che stanno combattendo per eliminare completamente la presenza del Daesh dalla badiya, il deserto fra Siria e Iraq, dove i miliziani dello Stato islamico si erano trincerati dopo la caduta di Raqqa e Deir Ezzor, nell’autunno scorso.
Con tutto ciò, la presenza israeliana nel Golan non viene comunque messa in discussione, anche perché il controllo di quest’area siriana è considerato irrinunciabile da Israele, che è poi l’unica potenza regionale dotata di armi nucleari. Argomento, questo, che non è possibile sottovalutare nel complesso e delicatissimo equilibrio che si gioca in Medio Oriente, come sanno bene tutti gli attori coinvolti nel conflitto in corso. I motivi di questo irrinunciabile controllo sul Golan è facilmente intuibile: militarmente è l’area di rilevanza strategica più importante della regione, all’incrocio dei confini di Libano, Siria, Giordania e Israele; potrebbe essere una zona di giacimenti petroliferi; ma soprattutto è una regione ricca d’acqua (bacino del Monte Hermon), dove si trovano le sorgenti del fiume Giordano.
E in questa regione, più che altrove, chi controlla le risorse idriche (l’oro blu) ha il dito sull’interruttore dell’economia dei Paesi vicini, come sanno bene i turchi che con le loro dighe controllano l’acqua dell’Eufrate, dalla quale dipendono buona parte della Siria e dell’Iraq. Gli scontri nelle vicinanze del confine israeliano sono comunque state in questo periodo fonte di pesanti tensioni e di trattative diplomatiche fra le superpotenze. C’è stato un concreto pericolo di allargamento del conflitto, che comunque non è del tutto rientrato.
Il nodo di Daraa resta ingarbugliato e la situazione non è ancora fuori pericolo, ma la proposta russa apre per ora un piccolo spiraglio se non alla pace almeno alla non espansione della guerra.