Il NOBEL dell’economia a due non economisti
Quest’anno l’Accademia Reale di Svezia ha deciso di attribuire il premio Nobel per l’economia ad un ingegnere e ad uno psicologo. Come? Perché? E gli economisti “veri” come l’hanno presa? Alcuni già storcono il naso. Personalmente mi sembra un segno positivo; indica l’apertura che anche l’economia sta sperimentando verso l’interdisciplinarietà e la tendenza ad un maggiore realismo. Il prestigio dei personaggi in questione, poi, è innegabile. Vernon Smith, l’ingegnere texano, con tanto di stivali di coccodrillo, cappello da cow-boy e codino, è considerato il padre dell’economia sperimentale. Daniel Kahneman, lo psicologo, è il pioniere dell’applicazione della psicologia cognitiva all’economia. Alla fine del 1800 l’economista italiano Pareto paventava come uno scenario di fantascienza (nera) la possibilità di fare esperimenti economici con degli esseri umani “in laboratorio”. Alla fine degli anni Sessanta, invece, Vernon Smith e pochi adepti, insoddisfatti del metodo troppo astratto e asettico dell’economia decisero di trovare un modo per distinguere “ciò che si scopre da ciò che si inventa”. Da allora, il numero degli economisti sperimentali è cresciuto grandemente e le tecniche elaborate stanno diventando parte comune della cassetta degli attrezzi di ogni economista. Smith e gli altri decisero di vedere come e quanto le teorie economiche fossero in grado di prevedere e spiegare il comportamento reale dei soggetti economici. Per far questo iniziarono a simulare prima manualmente, poi sempre più con l’ausilio dei computer, vari ambienti economici: mercati concorrenziali, situazioni di oligopolio, aste (le varie gare per le licenze dei telefonini Umts svolte recentemente in tutto il mondo, devono molto a questo tipo di metodica), per analizzare il comportamento dei vari soggetti implicati. Dopo aver avviato questo programma di ricerca gli interessi di Smith si sono spostati principalmente sul versante metodologico. C’era infatti la necessità di difendere l’economia sperimentale, la sua “creatura”, ancora in tenera età e quindi vulnerabile, dagli attacchi dell’ortodossia, che riteneva, sulla linea di Pareto, che l’economia non potesse basarsi su esperimenti così come fanno la chimica o la fisica, ma che ci si dovesse accontentare, come l’astronomia e la meteorologia, semplicemente di osservare. Per confutare tale tesi, Smith ha sviluppato la dottrina del “parallelismo”. Il laboratorio economico è come una galleria del vento: se nell’ambiente simulato si trovano regolarità e leggi, queste a fortiori varranno nel mondo reale, anche nelle situazioni più complesse. È come studiare una piccola società in vitro. Le tesi metodologiche di Smith hanno suscitato un intenso dibattito che si è svolto in convegni, riviste scientifiche, dipartimenti, che anche grazie alla sua pionieristica attività, Smith ha contribuito a far sviluppare. L’approccio ingegneristico di Smith, incentrato sulle istituzioni, sulle varie tipologie, cioè, di mercati e sul loro funzionamento, trova il naturale contraltare nell’opera di Daniel Kahneman, l’altro premiato di quest’anno. Kahneman, psicologo cognitivo, nei suoi studi ha concentrato l’attenzione sul comportamento individuale. L’idea fondamentale dell’economia è che i soggetti compiano le loro scelte sulla base di un calcolo costi benefici che ogni individuo è in grado di compiere in modo razionale. Gli studi di Kahneman hanno messo in luce invece come tali scelte e tali valutazioni possano essere influenzate da fattori psicologici quali il particolare funzionamento della memoria, le emozioni, l’imperfetto autocontrollo e la relazione con gli altri. Tutti questi fattori determinano il modo in cui i singoli soggetti elaborano l’informazione a loro disposizione e l’utilizzano per scegliere come comportarsi in situazioni caratterizzate da incertezza. Con un altro psicologo, Amos Tversky, scomparso alcuni anni fa, Kahneman propose la prima teoria della scelta alternativa a quella standard, la cosiddetta Prospect Theory, che cercava di spiegare una serie di anomalie nel comportamento dei soggetti, e di accomodarli in una visione unitaria. Da allora decine di teorie alternative sono state proposte e testate utilizzando tra gli altri i metodi sviluppati da Smith. Ma al di là del valore interno degli studi di Kahneman, la sua attività è importante perché ha portato ad un avvicinamento, a volte burrascoso, ma sempre proficuo, tra economia e psicologia cognitiva. Tale processo è sfociato nella creazione di una nuova branca dell’analisi economica: l'”economia comportamentale”, che cerca di coniugare il realismo della psicologia con il rigore dell’economia. I Nobel di quest’anno premiano due pionieri che hanno contribuito a fare dell’economia ancora più una scienza della società. La teoria suggerisce nuovi esperimenti e i dati così raccolti suggeriscono nuove teorie. Parafrasando il fisico Millikan, possiamo dire che teoria ed evidenza, sono le gambe sulle quali la scienza procede. Benché uniti da molte cose, in particolare dal peso dato alla verifica empirica, Smith e Kahneman si trovano in disaccordo su alcuni punti. Non è la prima volta che si spartiscono l’ambito premio studiosi che dicono cose diverse, anche molto diverse tra di loro: emblematico fu il caso di Myrdal e Hayek nel 1974. Probabilmente è un segno che benché stia diventando sperimentale, l’economia fatica ancora a diventare una scienza. Nonostante questo, la decisione di quest’anno dell’Accademia Reale di Svezia ci sembra un segnale importante. Nell’additare all’attenzione del grande pubblico e degli esperti due fondatori come Smith e Kahneman, la professione ci pare voglia dare di sé l’immagine di apertura ed eclettismo di cui, sempre più, si sente la necessità.