Il Nilo a Torino
Per scoprire i tesori dei faraoni non serve andare fino al Cairo: la citta sabauda è seconda solo alla capitale egizia per il suo museo.
Chi desidera evitare faticosi e dispendiosi viaggi all’estero, ma non vuole rinunciare a far conoscenza con l’arte e la storia di civiltà lontane, in certi casi non ha che da guardarsi attorno qui in Italia. Vuole la Grecia classica? Vada ad ammirare i templi di Paestum o di Agrigento. È attratto dagli splendori di Bisanzio? Ravenna la surrogherà adeguatamente. Preferisce l’Egitto? Il Nilo lo troverà nel Po, quello almeno che bagna Torino. La città sabauda, infatti, è seconda solo al Cairo per i tesori egizi custoditi nel suo museo, uno dei luoghi più importanti del mondo per l’egittologia.
L’atto di nascita del Museo egizio torinese risale al 1824. In anni nei quali la spedizione napoleonica in terra egiziana ha scatenato in Europa una vera e propria "egittomania", il Piemonte di Carlo Felice riesce ad accaparrarsi la favolosa collezione messa insieme dal piemontese Drovetti, console generale di Francia in Egitto, per la quale il re fa adattare un edificio del Guarini parzialmente occupato dall’Accademia delle scienze. Si tratta di 5.268 pezzi, tra cui 98 grandi statue e una raccolta di papiri che non ha eguali: importanti, oltre al "Libro dei morti", anche testi non funerari, tra i quali la lista dei re dalle origini (3000 a.C.) fino al 1600 circa. Ma l’eccezionalità e, diciamo pure, "modernità" della collezione Drovetti risiede fra l’altro in questo: accanto a reperti d’alto valore storico e artistico come le statue di Thutmosi III e Tutankhamon, non sono tralasciate le umili espressioni della vita quotidiana: dai prodotti alimentari, giunti fino a noi grazie alle particolari condizioni climatiche, agli utensili domestici o di lavoro, ai capi di vestiario, ai giochi e così via. Tale opzione per una testimonianza globale di una civiltà, oggi per noi normale, costituiva una vera rivoluzione rispetto ai canoni dell’antiquaria del tempo.
Tutto questo materiale viene triplicato dal 1894 al 1928, periodo in cui il Museo è affidato alla direzione dello Schiaparelli. Grazie infatti alle campagne di scavo condotte in Egitto dall’insigne studioso biellese, vengono acquisiti non più pezzi singoli e disparati, ma complessi unitari come la famosa tomba dei coniugi Kha e Merit, scoperta intatta nel 1906 e risalente a 3500 anni fa: senz’altro l’insieme più ricco e suggestivo dell’intero complesso torinese.
Eccezionale anche il ritrovamento, effettuato dal Farina nel 1930, del lenzuolo di Gebelein: la più antica tela dipinta del mondo, considerati i suoi 5500 anni di età. Mentre tra le più recenti e cospicue acquisizioni è quella, nel ’69, del tempietto di Ellesija, interamente scavato nell’arenaria: un dono del governo egiziano all’Italia in segno di riconoscenza per aver contribuito al salvataggio di tanti tesori nubiani destinati ad essere sommersi dal bacino della diga di Assuan. E proprio sul tempietto di Ellesija – nell’Ala Schiaparelli svuotata di ogni struttura interna per realizzarvi i cinque piani necessari a dare più respiro alle collezioni – si è operato nel ’90 l’intervento più complesso e delicato di tutto il restauro del Museo, sollevando le sue 150 tonnellate in modo da ricavare al di sotto altri spazi espositivi e un nuovo piano di appoggio.
Quanti visitano oggi l’Egizio rinnovato non possono non restare appagati dal colpo d’occhio completo offerto su una civiltà fra le più elevate che siano fiorite sul pianeta. E con tutta una i varietà di emozioni: soggiogati dall’astrale bellezza di Ramesse II, divertiti davanti alla statuetta dell’uomo che arrostisce un’anatra attizzando il fuoco con un ventaglio, toccati dai cibi e dai fiori ancora conservati che accompagnavano l’ultimo viaggio di Kha e della sua sposa verso l’eternità.
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