Il naufragio delle parole dopo la lotta

Il credo laico che Giuseppe Patroni Griffi, narratore, drammaturgo e regista, scrisse nel 1979 come messaggio di speranza e insieme monito contro il muro del silenzio, il rifiuto del dialogo, l’ostracismo di ogni autentica dialettica instauratisi negli anni di piombo
Leo Gullotta

“Abbiamo preso parte a tutti i naufragi, a tutte le rovine, a tutte le cadute, ma il naufragio delle parole ci trova ancora una volta impreparati. La parola che non trova asilo nella bocca dell’uomo è già la morte senza resurrezione”. In queste parole di un intellettuale alla deriva, che macina i flash e le malincone del passato, parole che concludono Prima del silenzio, si riassume e si sostanzia il credo laico che Giuseppe Patroni Griffi, narratore, drammaturgo e regista, scrisse su misura, nel 1979, per quel grande attore che fu Romolo Valli:  messaggio di speranza e insieme di monito contro il muro del silenzio, il rifiuto del dialogo, l’ostracismo di ogni autentica dialettica instauratisi negli anni di piombo. Il lungo atto unico ebbe soltanto poche repliche al debutto bruscamente interrotte dalla tragica morte per incidente di Romolo. Messo nel cassetto dall’autore fu ripreso nel 1991 con Mariano Rigillo. E ritorna oggi con Leo Gullotta in una nuova edizione con la regia di Fabio Grossi. La pièce si accentra nel ritratto di un intellettuale “irregolare”, un “fallito”, ma depositario di valori preziosi (di cultura, di gusto, di semplice umanità), avviliti o irrisi dal crescere della moderna barbarie. Poeta di rari versi e di buone letture (cita Eliot, Auden, Dylan, Thomas), l’ultracinquantenne professore si è rifugiato in una casetta scalcinata, lontano dalla ricca moglie e dai due figli assai perbene, dalle amicizie futili. Gli fa compagnia, sul momento, un giovane venuto dal nulla, uno dei tanti fuggiaschi dalla propria casa, in cammino verso una meta ignota.  Il dialogo tra i due è ambientato in uno spazio geometrico delimitato da luci al neon e con al centro una poltrona con funzioni molteplici di barca, panca, divano. Tra proiezioni  sulle pareti e su velari che salgono e scendono , di onde marine, di foto d’epoca, di interni domestici, prendono consistenza gli altri personaggi, apparizioni allucinatorie della vita del protagonista. Sono le visite dei tentatori, ciascuno con le sue offerte dall’altra vita: dell’ambigua moglie, del pentito primogenito, e del patetico-insinuante cameriere.

Pur non avendo niente in comune i due uomini sono tuttavia legati dal fatto di sentirsi “due fuorilegge della società”. A dividerli non è tanto l’anagrafe, quanto il modo di concepire e usare il linguaggio. L’uomo avverte l’urgenza di trasmettere le sue certezze, illusioni, speranze di ribelle all’ospite che potrebbe essergli figlio: col risultato che il suo linguaggio alto scivola come acqua sull’impenetrabile scorza di ben altro ribelle, sordo a qualsiasi richiamo del passato, curiosità, sentimento. Per l’uomo, “le parole sono espressione, comunicazione, creatività, possibilità infinita di rimuovere l’oblio”, e rappresentano “la sua capacità di lottare e di sopravvivere”. Per il ragazzo, invece, impermeabile a qualsiasi discorso che trascenda le esigenze contingenti del vivere, “di parole ce ne sono poche” e quelle poche servono unicamente “a constatare la realtà”.  Il conflitto che tratteggia Prima del silenzio è non soltanto individuale, ma anche, e soprattutto, generazionale. E quello di oggi ha ben altre valenze rispetto all’epoca in cui fu scritto e rappresentato. La scommessa di riproporlo oggi era quella di immettere altri punti di vista, altre intonazioni, altre personalità. Un rilancio dei contenuti che se da un lato risultano in parte datati – il periodo nero del terrorismo e del ribellismo esistenziale diffuso nei giovani, la caduta delle ideologie -,  dall’altro – poesia, denuncia, auspicio – conservano ancora un valore atemporale. Con passaggi di estrema bellezza. Come quelle parole del finale: “Perdono per la parola sbagliata, per la parola male usata. Perdono per la parola carpita, per la parola che seduce. Perdono per la parola aumentata di potere, che si è data credito ed era da gettare. Perdono per la parola che ha sfruttato i poveri, gli illusi, le vittime designate. Perdono per la parola colta, che ha confuso gl’innocenti, per la parola povera che ha fallito negli intenti…”.  Purtroppo Gullotta non le restituisce appieno nella loro forza. Sembrano solo dette. E anche altri passaggi risultano con toni compiaciuti. Il giovane Eugenio Franceschini tratteggia con credibilità la concretezza persuasiva dell’esponente di una generazione che preferisce “un mondo senza parole”, il ragazzo-allievo del carpe diem che infine va via dopo una lotta all’ultima parola.

“Prima del silenzio”, di Giuseppe Patroni Griffi, con Leo Gullotta e Eugenio Franceschini, con le apparizioni di Sergio Mascherpa, Andrea Giuliano, e Paola Gassman, regia Fabio Grossi, musiche Germano Mazzocchetti, scene Luca Filaci. Al teatro Eliseo di Roma, fino al 17 novembre. A Milano, Teatro Franco Parenti, dal 22 gennaio al 2 febbraio.

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