Il Natale dei rimasti – Nkululeko
Il Natale dei rimasti Si aggiunge un’ulteriore anima a quella già vibrante del quadro di Angelo Morbelli Il Natale dei rimasti, quella di Simona Bucci. Nella sua versione coreografica I rimasti (in prima al teatro Annibal Caro di Civitanova Marche), ispirata alla celebre tela del pittore divisionista, la coreografa fiorentina, cresciuta alla scuola di Nikolais e della Carlson, ha immesso un suo struggente afflato. Strappa dall’immobilità i cinque personaggi (raffigurati nello stanzone di un ricovero per derelitti nel giorno di Natale in attesa di un parente che non verrà), cucendogli addosso una propria storia. E che ognuno sia portatore di un vissuto personale carico di ricordi e di ferite condensate in una solitudine crepuscolare, lo si percepisce subito nello stagliarsi delle singole figure. Con movimenti ampi e netti i danzatori fendono l’aria e scivolano per terra; s’allungano, in un abbraccio vano, sui banchi dove siedono e saltano. Sono gesti falcati e trattenuti, cadute e rotolamenti, dettati da sussulti intimi di grande impatto coreografico. La Bucci ha lavorato con perizia di scavo sui singoli interpreti per farli provenire da un personale vissuto, e poi incontrare drammaturgicamente in un racconto potente. Le dinamiche relazionali convergono su un orfano con la mente ferma alla promessa fattagli dal padre, che sarebbe tornato per riprenderselo. Sempre con un pacchetto in mano, diventerà oggetto di derisione in un gioco che sfocerà nella sua morte. E qui sale vertiginosamente il pathos col duetto finale che vede l’istigatore – un ex militare cinico e violento – avvinghiarsi disperatamente e teneramente a quel corpo senza vita quasi a volerlo resuscitare. Fino a ricomporlo addormentato sul banco nella staticità della scena iniziale, ma con la variante del pacco finalmente aperto che rivela un giocattolo. È una danza concreta, ma non descrittiva, che dice un disagio di rapporto, innescando un’esplosione di traiettorie gestuali tali da riempire la stanza illuminata da due vetrate laterali. Nel sapiente dosaggio di luci che ci immergono nell’atmosfera del dipinto, s’aggira per tutto il tempo la presenza inquietante della morte impersonata dalla stessa Bucci, alla quale va riconosciuta una delle più intense creazioni di danza viste negli ultimi tempi. Nkululeko Dalla strada al palcoscenico; dai balli nei ghetti sudafricani, alla danza riconosciuta dei teatri internazionali. La Via Katlehong Dance Company prende il nome dalla township dove risiedono i nove giovanissimi rapper, portatori di una positiva voglia di riscatto creativo come antidoto alla violenza e alla rabbia dell’emarginazione. Sono i figli della protesta degli anni Ottanta e della fine dell’apartheid che oggi danzano liberi di esprimere la loro cultura. Con Nkululeko (al Palladium per il Romaeuropa Festival) festeggiano i dieci anni dalla liberazione del loro paese, scatenando una vitalissima danza che fonde la pantsula – danza di aggregazione dei giovani delle periferie – con i balli zulu e i ritmi dei minatori, mixando questi codici gestuali della tradizione afro con l’hip hop, la tap dance e la steps. All’inizio dialogano emettendo assordanti fischi, poi parlano usando un incomprensibile slang, quindi battono mani gambe e piedi danzando senza sosta. Il loro linguaggio espressivo arriva contagioso e trascinante, coinvolgendo con incursioni tra il pubblico e battimano all’unisono. Superano lo stereotipo delle gang rivali per una danza sempre corale, piena di energia, di gioia, di vita.