Il nastro bianco
Le quotidiane vicissitudini degli abitanti di un villaggio nel nord della Germania all’inizio del secolo scorso sono la materia prima che Michael Haneke plasma per costruire una formidabile parabola sul male e, in controluce, sulla nascita del nazismo. I personaggi al centro della storia rappresentano con abbacinante lucidità le gerarchie della comunità: il barone che con la sua tenuta dà lavoro a quasi tutti gli abitanti del paese, il medico che vive una doppia vita fatta di abusi e crudeltà, l’intendente che amministra con severità le terre del nobile così come la sua famiglia, il pastore che non lesina vergate per educare i figli, il timido e onesto maestro di scuola schiacciato da un potere contro il quale nulla può.
Dietro questa piramide, nascosta dal velo delle apparenze, si agita una violenza e una crudeltà senza freni, tanto pervasiva quanto dissimulata. Ci vorranno ancora anni, una guerra e l’umiliazione della sconfitta perché queste dinamiche trovino naturale compimento nel nazionalsocialismo e perché il cinismo amorale dei ragazzi cresciuti sotto il giogo di questa vuota e cieca severità diventi terreno di cultura nella follia nazista. Ma, sembra dirci il regista de La pianista, la pianta del male si era ormai radicata da tempo.
Nel mettere in scena questo dramma disperato, Michael Haneke dà fondo a tutto il suo pessimismo, disegnando con il solito rigore stilistico e narrativo una società ipocrita, sadica, crudele, insensibile. La fotografia è un bellissimo e agghiacciante bianco e nero senza ombre, quasi che il disvelamento inizi proprio dalla possibilità che il regista si concede di indagare anche nei recessi più bui, riportando tutto alla luce, senza censure né reticenze. Sembra tutto talmente chiaro e trasparente, nonostante i misteri che si infittiscono con il procedere della storia, che l’assenza della colonna sonora non si nota minimamente. Chiude il cerchio un cast di attori straordinari che tiene la scena senza incertezze.
Un film che non sfigurerebbe davanti ai capolavori di Visconti, Bergman e Reitz.
Regia di Michael Haneke; con Burghart Klaussner, Christian Friedel, Ernst Jacobi, Leoni Benesch, Ulrich Tukur, Ursina Lardi.
Valutazione della Commissione nazionale film: consigliabile, problematico.