Il motto di Francesco è “Misericordiando”
"Una ventata d’aria fresca". Così un’amica mi scrive dopo aver letto l’intervista a papa Francesco di Antonio Spadaro sj, pubblicata sull’ultimo numero de “La Civiltà Cattolica” e ispirata dalla comunione dei direttori di varie riviste della Compagnia di Gesù. Già questo un dato di grande rilevanza.
Le parole del papa riaprono le finestre della Chiesa sul mondo e sulla nostra vita. Innanzitutto rivelandoci con semplicità di cuore molte cose del suo passato. La vocazione alla Compagnia di Gesù, di cui lo attrae la missionarietà, il senso di comunità e la disciplina. Il rapporto con sant’Ignazio di Loyola, «è un mistico», e con Pietro Favre, uno dei primi gesuiti, di cui tratteggia un ritratto che appare quasi un autoritratto: «Il dialogo con tutti, anche i più lontani e gli avversari; la pietà semplice, una certa ingenuità forse, la disponibilità immediata, il suo attento discernimento interiore, il fatto di essere uomo di grandi e forti decisioni e insieme capace di essere così dolce, dolce…».
I momenti difficili come responsabile della Compagnia di Gesù in Argentina: «Io prendevo le mie decisioni in maniera brusca e personalista (…) È stato il mio modo autoritario di prendere le decisioni a creare problemi. Dico queste cose come una esperienza di vita e per far capire quali sono i pericoli. Col tempo ho imparato molte cose. Il Signore ha permesso questa pedagogia di governo anche attraverso i miei difetti e i miei peccati».
Papa Francesco poi ci fa dono della sua visione della Chiesa: «L’immagine della Chiesa che mi piace è quella del santo popolo fedele di Dio (…) Non c’è identità piena senza appartenenza a un popolo. Nessuno si salva da solo, come individuo isolato, ma Dio ci attrae considerando la complessa trama di relazioni interpersonali che si realizzano nella comunità umana. Dio entra in questa dinamica popolare». «Il popolo è soggetto – continua il papa – e la Chiesa è il popolo di Dio in cammino nella storia, con gioie e dolori. “Sentire cum Ecclesia” dunque per me è essere in questo popolo» il cui modello è Maria che «amò Gesù con cuore di popolo».
Visione da cui scaturisce la sua idea di santità: «Io vedo la santità nel popolo di Dio paziente: una donna che fa crescere i figli, un uomo che lavora per portare a casa il pane, gli ammalati, i preti anziani che hanno tante ferite, ma che hanno il sorriso perché hanno servito il Signore, le suore che lavorano tanto e che vivono una santità nascosta. Questa per me è la santità comune. La santità io la associo spesso alla pazienza: non solo la pazienza come “hypomoné”, il farsi carico degli avvenimenti e delle circostanze della vita, ma anche come costanza nell’andare avanti, giorno per giorno». Non ci siamo tutti dentro?
Ma qual è il posto della Chiesa oggi? Dice papa Francesco: «Io vedo con chiarezza che la cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi è la capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità. Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia. È inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo e gli zuccheri alti! Si devono curare le sue ferite. Poi potremo parlare di tutto il resto. Curare le ferite, curare le ferite… E bisogna cominciare dal basso».
Da questa posizione egli parla ai ministri della Chiesa che «devono essere misericordiosi, farsi carico delle persone, accompagnandole come il buon samaritano che lava, pulisce, solleva il suo prossimo. Questo è Vangelo puro. Dio è più grande del peccato (…) La prima riforma deve essere quella dell’atteggiamento. I ministri del Vangelo devono essere persone capaci di riscaldare il cuore delle persone, di camminare nella notte con loro, di saper dialogare e anche di scendere nella loro notte, nel loro buio senza perdersi», perché «nella vita Dio accompagna le persone, e noi dobbiamo accompagnarle a partire dalla loro condizione. Bisogna accompagnare con misericordia».
Dal basso, poi, papa Francesco affronta varie questioni ecclesiali: la profezia dei carismi; un governo sinodale, cioè di comunione, che coinvolga anche le donne: «Il genio femminile è necessario nei luoghi in cui si prendono le decisioni importanti. La sfida oggi è proprio questa: riflettere sul posto specifico della donna anche proprio lì dove si esercita l’autorità nei vari ambiti della Chiesa»; il Vaticano II: «una cosa è chiara: la dinamica di lettura del Vangelo attualizzata nell’oggi che è stata propria del Concilio è assolutamente irreversibile»; la necessità del discernimento e del vivere dentro le frontiere: «Noi dobbiamo avviare processi, più che occupare spazi. Dio si manifesta nel tempo ed è presente nei processi della storia. Questo fa privilegiare le azioni che generano dinamiche nuove. E richiede pazienza, attesa».
Papa Francesco, infine, ci svela la sua sensibilità artistica che lo vede spaziare tra musica, pittura, letteratura e cinema: da Caravaggio a Fellini, passando per Borges e Wagner. Ciascuno troverà nelle parole di Papa Francesco qualcosa di bello.
A me piace sottolineare la misericordia che mi pare attraversi tutta l’intervista come l’eco più profondo della sua fede e della sua vita.
A partire da come parla di se stesso per ben tre volte: «Sono un peccatore al quale il Signore ha guardato, Io sono uno che è guardato dal Signore, Questo sono io: un peccatore al quale il Signore ha rivolto i suoi occhi». E spiega: «Il mio motto “Miserando atque eligendo” l’ho sentito sempre come molto vero per me […] il gerundio latino “miserando” mi sembra intraducibile sia in italiano sia in spagnolo. A me piace tradurlo con un altro gerundio che non esiste: misericordiando».
È l’esperienza vissuta della misericordia che dona a papa Francesco una certezza dogmatica: «Dio è nella vita di ogni persona, Dio è nella vita di ciascuno. Anche se la vita di una persona è stata un disastro, se è distrutta dai vizi, dalla droga o da qualunque altra cosa, Dio è nella sua vita. Lo si può e lo si deve cercare in ogni vita umana. Anche se la vita di una persona è un terreno pieno di spine ed erbacce, c’è sempre uno spazio in cui il seme buono può crescere. Bisogna fidarsi di Dio».
Grazie, Francesco, perché fai rifiorire nel nostro cuore il fiore del mandorlo.