Il Moro bianco

Il moro bianco

C’è qualcosa di nuovo nell’Otello del regista Claudio Autelli. A partire dal Moro, non più nero, ma dipinto di biacca. L’opera shakespeariana vira in chiave comica, declina in dramma, ritorna buffa, e chiude in tragedia. Tutta concentrata in un interno domestico, festoso, con palloncini e trombette, e i personaggi quasi ubriachi.

Il dramma della gelosia del Moro verso Desdemona sembra condensarsi tutto in un interminabile giorno: quello della festa di nozze. Che celebrerà anche una cerimonia di morte. Un lungo banchetto imbandito è il luogo dove tutto nasce, attorno a cui si trama e sotto cui ci si nasconde, si sussurrano i propri pensieri. È l’ara sacrificale dei sentimenti. Sopra di esso si consuma l’immolazione dell’innocente Desdemona nella potente immagine finale che la vede impiccata ad un drappello di palloncini colorati e col lungo abito bianco che scende fino a terra da farla sembrare sospesa.

Ed è denso di immagini questo spettacolo destinato a sicuro successo per la vitalità inventiva che lo anima. Forza che risiede anche nella sintesi del testo (sfrondato nella traduzione di Salvatore Quasimodo), al quale però gioverebbe un ulteriore riduzione per comprimere nelle azioni e nelle immagini altre parole. Come la folgorante sequenza del fatidico fazzoletto. Per mostrarci la crescente gelosia che divora il Moro, esso si moltiplica e s’ingrandisce sempre più, passando dalle mani del manovratore Iago a quelle dell’inconsapevole Cassio, per finire in quelle del tormentato Otello. Cinque personaggi bastano a condensare eventi e sentimenti, a dare corpo e voce ad azioni mimiche, a monologhi amplificati al microfono e accompagnati dal suono di una chitarra elettrica, a dialoghi stralunati, a figure vaneggianti. E sono bravissimi i generosi attori nella recitazione severa dei toni e oscillante nel grottesco, fra cui va menzionato il protagonista, Francesco Villano. Morirà anche lui, dopo aver constatato l’inganno, ma spegnendo subito la sua vendetta in una resa che sembra lasciare posto alla pietà.

Si respirano intense atmosfere che ricordano il teatro del lituano Nekrosius (l’uso delle musiche, certi giochi di luce, gli spruzzi d’acqua nell’aria), e quello di Emma Dante (il ritmo nello spazio scenico, l’utilizzo degli oggetti, la dimensione familiare), finanche Carmelo Bene (nei toni dell’incipit). Sono suggestioni e citazioni attinte che si possono perdonare al giovane regista, incamminato comunque in un percorso personale che mostra già una sua peculiare cifra espressiva.

 

Al Valle di Roma per la rassegna “Teatri del tempo presente”.

 

Festival Santarcangelo

 

La 39a edizione (dal 3 al 12 luglio) diretta da Chiara Guidi, concentrerà la ricerca sulla congiunzione tra teatro e musica. Sperimentazioni vocali, anatomie del suono, scarpe che fanno risuonare le strade del paese, spettacoli cuciti nelle architetture, maestri dell’avanguardia newyorkese anni Sessanta, musiche e installazioni da Africa e Giappone. Tra gli artisti presenti, Jonathan Burrows e Matteo Fragion, Valentina Carnelutti, Fanny & Alexander, Scott Gibbons, Heiner Goebbels, Muta Imago. Al programma ufficiale è affiancata una sezione “off”.

www.santarcangelofestival.com
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