Il mondo guarda alla Turchia dopo le elezioni amministrative
È stata la sorpresa nell’uovo di Pasqua, si potrebbe dire, a giudicare dai titoli che campeggiavano sui giornali di mezzo mondo all’indomani delle elezioni amministrative in Turchia (tenutesi appunto domenica 31 marzo): da più parti viene infatti definita “storica” la sconfitta del partito del presidente in carica, Recep Tayyip Erdogan, che ha visto i suoi candidati sconfitti in città chiave come Smirne, Istanbul, Ankara, Bursa, Balekisir. L’opposizione del Chp ha così non solo confermato le città in cui già governava, ma anche “espugnato” alcune roccaforti della maggioranza dell’Akp.
Ad avere particolare valenza è stato il caso di Istanbul, la maggiore città del Paese di cui Erdogan stesso era stato sindaco, dove è stato eletto Ekrem Imamoglu – già considerato candidato in pectore dell’opposizione alle prossime presidenziali del 2028; insieme a quello della capitale Ankara, dove è uscito vincente dalle urne Mansur Yavas.
Erdogan ha immediatamente riconosciuto la vittoria degli oppositori, con una dichiarazione di grande fair play rimbalzata subito su tutti i media: «Indipendentemente dal risultato, il vincitore di questa elezione è la democrazia. Non abbiamo sfortunatamente ottenuto il risultato che volevamo ma ricostruiremo la fiducia nei luoghi in cui il nostro Paese ha scelto altri». Tuttavia, dato il ruolo chiave che la Turchia riveste sia nelle questioni mediorientali che in quelle ucraine, il mondo si è subito chiesto che ripercussioni possa avere a livello geopolitico un indebolimento dell’uomo forte al potere.
L’americano Washington Post afferma che «Le elezioni shock in Turchia offrono un’altra lezione per il mondo», in quanto «hanno dimostrato che anche in contesti illiberali le cose possono cambiare velocemente». E dato che non ci sono altre elezioni importanti in vista prima delle presidenziali del 2028, il lavoro di Erdogan per trovare un successore – dato che tutti i suoi candidati si sono dimostrati mediocri, per dirla con l’analista Captagay – sarà più duro del previsto.
Anche il Financial Times afferma che «il risultato di queste elezioni si farà sentire nella politica turca per anni, e ravviva le speranze dell’opposizione di battere Erdogan nel 2028». Nell’articolo che analizza gli errori compiuti dal presidente in carica l’attenzione si concentra in particolare sull’economia, la cui condizione tutt’altro che brillante avrebbe convinto molti elettori a scegliere l’opposizione.
L’analisi economica è condivisa anche dalla CNN: questa fa infatti notare come i prezzi siano cresciuti del 67 per cento rispetto allo scorso anno, anche se stime non ufficiali parlano del 100 per cento; mentre i tassi di interesse praticati dalla Banca Centrale sono del 45 per cento, contro l’8,5 di un anno fa. Anche El Mundo afferma che «le elezioni sono state percepite come un castigo alla politica dell’esecutivo e la crisi inflazionistica che soffoca il Paese».
Il francese Le Monde definisce «una sconfitta senza appello» quella subìta dal presidente turco, in quanto «per la prima volta dalla sua nascita l’Akp non è più il primo partito del Paese ma il secondo. Al contrario, il partito kemalista Chp ritrova per la prima volta dal 1977 il primo posto, un rango che dovrà imparare a gestire». Un’incertezza sul futuro, dunque, come del resto avviene per ogni cambiamento.
Il tedesco Der Spiegel – e giova ricordare che la Germania ha una comunità turca molto consistente – titola «Anche gli autocrati sono battibili». E per quanto questo «non significhi che la democrazia in Turchia funzioni di nuovo […] è un segnale di speranza».
La russa Komsomol’skaja Pravda titola invece guardando già al futuro: «Erdogan ha un piano astuto dopo la sconfitta alle elezioni: gli succederà il produttore di droni Bayraktar». Il giornale cita a sua volta come fonte il Wall Street Journal, ma non si può non ricordare che la Turchia è appunto coinvolta nella produzione di droni per l’Ucraina.