Il mondo (del giornalismo) che cambia
Dalla pagina Facebook di Michele Zanzucchi
– Festival del giornalismo. Il cervello dei giornalisti sta cambiando. Nella sala in cui sono solo un decimo dell'uditorio usa la penna
– Cronisti che entrano in sala, si siedono, scattano una foto e postano un tweet e qualche altra parola in libertà. Poi se ne vanno. Saranno rimasti 5 o 6 minuti. Che cosa possono capire di un dibattito su "leadership, nuovi media e opinione pubblica"? Ah la fretta!
-«I cittadini non parlano con i politici ma semplicemente si identificano con il giornalista che pone le "sue" domande al politico di turno», dice Marco Bracconi di La Repubblica. E Fabio Bordignon dell'università di Urbino: «La rete non è più solo uno strumento della politica ma un elemento della stessa propria idea politica». Sara Bentivegna dell'ateneo La Sapienza: «Hillary Clinton usa magistralmente la rete. Targetizzazione. Personalizzazione. Disintermediazione». D'accordo con la professoressa della Sapienza. Ma dove sono le vere idee? Aveva ragione McLuhan: «Il medium è il messaggio».
– Panel sulla rivincita della carta. Bello. Quattro giovani con le loro riviste. Lottano per sopravvivere. Libano, Germania e Italia. Propongono essenzialmente trimestrali di nicchia. Non hanno la soluzione. Non hanno nessun trucco nuovo salvo un gran desiderio di sfondare. Patinati e felici. Poveri. Non ho risolto il mio interrogativo sulla sostenibilità della carta. Una certezza: la carta avrà editorialmente bisogno del “tempo allungato”, che l'allontanamento dal “tempo annullato” della Rete. Far prodotti di grande qualità.
– Bellissimi reportage fotografici sui giovani iraniani “occidentalizzati”. Una parte, comunque minoritaria, dell'universo persiano. L'Iran sta diventando un “mostro” sociologico, tra ayatollah retrogradi e giovani sballati. Un reciproco gioco di imbrogli e infingimenti che sta svuotando l'anima di un popolo meraviglioso. Il giornalismo svela, scopre, trova un dettaglio e lo abbellisce, lo rende patinato o comunque insolito, ma troppo spesso pretende di rendere il dettaglio universale. E qui sta il problema. Noi occidentali sappiamo farlo a meraviglia. E stiamo imbrogliando il mondo intero. Facciamo credere che il mondo sia quello che vediamo col nostro sguardo interessato.
– Lo confesso, mi sento un brontosauro. Sono uno dei pochi ultracinquantenni al festival. Partecipo a un atelier: dallo storytelling all'experiencing. Credevo fosse un tema altamente etico, cioè il passaggio dal giornalismo che racconta ad uno più coinvolgente, in cui il giornalista vive quello che scrive. E invece Dan Pacheco della Newhouse Scholl of Public Communication ci presenta un aggeggio che sostanzialmente potenzia un telefonino fino a filmare tutto, strutturarlo e poi riprodurlo. 3D per sperimentare un «reality virtuale». Realtà creata da un «giornalismo immersivo» con . Bisogna far sì che «la gente interagisca in una scena facendo le proprie scelte». Se la cosa può essere straordinariamente importante in medicina, in materia giudiziaria o industriale, nel giornalismo mi sembra un grave tradimento. Ma forse sono solo un nostalgico brontosauro.
– Incontro decine di giovani giornalisti o apprendisti giornalisti. Grandi aspirazioni e altrettanto grande coscienza della precarietà attuale del mestiere. Anche i relatori ormai sono precari. Il positivo della situazione? La precarietà stimola la creatività. Enormemente. Fino ai 30-35 anni. Poi tutto finisce nella frustrazione.
– Dibattito su editori e Google. In sostanza, come sostenere il giornalismo di qualità quando gli editori non controllano più la distribuzione delle notizie? Mario Calabresi: «Il 43 per cento dei contatti sono diretti sul web, 43 coi motori di ricerca, 14 dai SN». Ma i lettori mordi e fuggi non vengono più pagati dalla pubblicità. Che fare? Non c'è ancora soluzione. Google e simili debbono arrivare a capire che senza giornalismo di qualità perderanno contenuti vendibili. Chinnappa (Google): «Noi pensiamo come ingegneri non come letterati. Condividiamo valori quali libertà di stampa, cittadinanza responsabile, ecosistemi. A noi interessano gli utenti finali. Gli editori debbono pensare a loro innovando». Pare un dialogo tra sordi… ma è in gioco il futuro stesso dell'editoria.
Conclusione: serve un cambiamento creativo.