Il mistero di Anna
In principio era il Verbo (la Parola)… Spontaneo mi viene in mente il Prologo del Vangelo di Giovanni quando, conclusa la lettura e a malincuore, devo congedarmi da un libro che mi ha tenuto incantato per tre sere. È una storia imperniata sul fascino della parola, e precisamente la parola letteraria, poetica, quella che attinge profondità insondabili e apre finestre sul mistero. E Il mistero di Anna è appunto il titolo di questo romanzo edito da Neri Pozza, autrice Simona Lo Iacono, siracusana e magistrato che ama il suo mestiere ma sotto la toga cela anche un’altra passione: scrivere, liberare la parola da ogni banalità per restituirle un destino, direi, taumaturgico.
La parola potente, che medica il dolore in cui è immerso il mondo: ecco la vera protagonista di questo romanzo scritto con amore. L’io narrante è l’Anna del titolo, Annuzza Cannavò nata a Siracusa, di famiglia poverissima: il padre sempre in cerca di “travaglio”, un lavoro che non trova mai, la madre ad arrangiarsi come può a tirare avanti. In tutto ciò, questa bambina undicenne, coltiva un suo segreto, che non può condividere con nessuno, tantomeno con i genitori troppo presi dai problemi concreti della sopravvivenza: è affascinata dalla parola, quella letteraria dei libri che non possiede e quella “poetica” (così la chiama) riservata ai “pazzi”, parola che affiorando casualmente nelle conversazioni la sorprende con un effetto di calore allo stomaco.
A condividere il mondo interiore del personaggio e la sua scoperta della parola poetica c’è lei, Simona Lo Iacono, col suo rapporto, la sua affinità con un’altra scrittrice “volata nell’altrove”, per usare un’espressione della bambina: Anna Maria Ortese, personaggio singolare della nostra letteratura, che alle traversie della vita ha risposto scrivendo libri bellissimi dall’impronta fantastico-lirica, lei pure seguace della parola che salva.
Alunna di quinta elementare, nell’autunno del 1968 Annuzza vince a sorpresa un concorso letterario indetto dal Ministero della Pubblica Istruzione il cui premio consiste nel trascorrere una settimana a Milano in compagnia di una famosa scrittrice alla quale si è inviato il racconto della propria giornata.
Dietro suggerimento della maestra, faticando per comprarsi il francobollo, la piccola siciliana ha indirizzato ad Anna Maria Ortese, vincitrice del Premio Strega per il romanzo Poveri e semplici, la sua pittoresca e spontanea descrizione. Galvanizzata dall’idea di trascorrere una settimana a casa di lei, Anna arriva a destinazione. Lì scopre che la Ortese ha anche una sorella, Maria, che persa nel ricordo della madre morta, nonostante gli acciacchi si prende cura materna della scrittrice. Entrambe sono molto unite e conducono un regime di vita più che modesto.
In Maria, Annuzza incontra la tenerezza delle persone umili e semplici. E intanto, va scoprendo con gli occhi della grande scrittrice il mondo nuovo nel quale è capitata: non solo la metropoli lombarda e le sue meraviglie, ma impara il valore di quella parola che, come una fiammella tenue, custodiva in cuore ed ora già comincia a crescere. A sua volta la Ortese rimane colpita da questa bambina mossa da un’ansia non comune di conoscenza, nella quale sembra riconoscere le sue stesse aspirazioni.
Come in questo brano di dialogo nel quale le domanda: «Ma ti capita spesso di rimanere colpita dalle parole?»
«Spesso? Signorina Anna, io non faccio altro che restare colpita da tutte le parole, quelle libere e quelle oppresse. E da quelle poetiche, soprattutto, che riconosco per il semplice fatto che mi danno una sensazione di caldo, qui, ma anche di dolore. Oppure le riconosco perché invece di farmi proseguire mi fanno fermare, o perché sono dolci ma hanno pure un certo sapore di inferno. Io mi sono ammalata di parole poetiche, signorina Anna, e sono dispiaciuta di non conoscerle tutte, perché mi sono detta che – forse – a furia di conoscerle davvero tutte, le parole, capivo meglio il mondo, ma non lo dite al direttore scolastico, vi prego, tenetevelo per voi che siete scrittrice.
Ora, è vero che ci sono miracoli e miracoli, ma la signorina ha fatto una cosa miracolosa, a quel punto. Mi ha presa per mano. E io sentivo le sue dita poetiche che stringevano le mie, e una specie di sudore, ma non era sudore, era come una colla che ci univa in qualcosa di misterioso e di eterno, simile al dipinto dell’anima che se ne vola da Domine Dio nella immaginetta della prima comunione.
Andiamo a scoprire Milano, ha detto buttando la sigaretta. E per una volta mi è sembrata sorridente e leggera, si è tolta gli occhiali e ha respirato in faccia al sole»
Il racconto delle giornate milanesi dalla piccola è intramezzato dalla corrispondenza che la Ortese scambia con una amica siciliana di cui il lettore sa soltanto l’iniziale. Un espediente dell’autrice per delineare un ritratto nitido e commosso della scrittrice, col suo lavoro letterario, i frequenti traslochi, l’unico amore della sua vita, i suoi tormenti e i suoi momenti buoni. Carteggio d’invenzione, s’intende, ma dove ogni espressione è eco fedele di cose scritte o dette dalla Ortese, grazie alla lunga frequentazione della Lo Iacono con l’opera di lei.
Terminato il soggiorno milanese, Annuzza rientra a Siracusa ricca di questa esperienza, non senza aver riscaldato con la sua semplicità e spontaneità la solitudine le due sorelle. Di lei si prenderà cura la professoressa Agata Raiti che – ora si scopre – è l’amica con cui la Ortese corrispondeva. Nell’ultima sua lettera, infatti, la scrittrice le aveva raccomandato la piccola siciliana. Con l’aiuto della prof Anna potrà proseguire i sospirati studi che i mezzi paterni non le avrebbero permesso, andando così incontro al futuro con sguardo sereno, sempre inseguendo la parola da amare, la parola che salva.
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