Il mio sogno è un giardino
Sul suo petto spicca un medaglione con una artistica immagine della Vergine col Bambino. “Questa è la “Madonna della tenerezza” – spiega -. Nella tradizione della nostra chiesa, ma anche di quella ortodossa, utilizziamo non la croce ma l’icona pettorale, dove la Madre è raffigurata sempre in relazione col Figlio. Simboleggia il nostro dover essere: portatori di Cristo, come lei”. Mons. Abraham Nehmé non dimostra i suoi quasi 75 anni di età. Da quindici anni in Siria, è vescovo metropolita per i cattolici di rito greco (o melchiti) con sede ad Homs, nella valle dell’Oronte: un fiume le cui sorgenti si trovano sui monti del Libano, sua terra d’origine. In questa, che è la terza città di una nazione islamica, convivono cattolici di rito greco, siriaco, maronita, latino; ortodossi di rito greco, siriaco; e poi protestanti. Un vero mosaico, dunque, in mezzo al quale il “dialogo dell’amore” in atto da tempo sta ottenendo confortanti risultati. “Ci riuniamo mensilmente fra pastori; abbiamo emanato lettere pastorali comuni; in occasione di feste religiose o civili ci presentiamo uniti alle autorità. Dal vescovo ortodosso di rito greco e da altri suoi colleghi sono considerato “un vero fratello – così dicono -, uno che bada più a quel che unisce che non a quel che separa”. Quanto al pastore protestante, si può dire che non prende decisione senza chiedermi consiglio”. Questo per quanto riguarda i cristiani. E col mondo islamico? “Abbiamo ottime relazioni tra capi cristiani e capi musulmani; sempre siamo presenti nelle rispettive feste religiose. Sovente è il governo stesso a incoraggiare queste riunioni sotto il segno della fratellanza religiosa; non però un vero e proprio dialogo teologico, per timore che dia adito a discussioni e rivalse. “In un’occasione il nuovo presidente Bashar-el-Assad (che ha visitato il papa il 21 febbraio scorso; n.d.r.) mi ha detto: “Vogliamo che le nostre appartenenze religiose non siano muri di separazione, ma correnti verso l’unico fiume della fratellanza”. “Ho pure un carissimo amico sunnita, capo di moschea: un uomo conciliante, di grande apertura, estimatore del Santo Padre per il suo atteggiamento in favore degli umili, dei poveri, delle vittime delle ingiustizie del mondo. “Tutto ciò io lo considero come il frutto di una spiritualità che cerco di vivere in comunione con altri, specialmente col vescovo maronita di Homs mons. Massoud, con mons. Bortolaso, vicario apostolico ad Aleppo, e con altri vescovi amici dei Focolari”. Il primo focolarino conosciuto da mons. Nehmé è stato Igino Giordani, ad una sua conferenza agli inizi degli anni Cinquanta. A quel tempo lui era studente a Roma. Ma la vera conoscenza dei Focolari l’ha avuta da vescovo, nella sua diocesi. “È successo alla fine dell’86, l’anno stesso in cui ho preso possesso della nuova sede: invitato dai giovani dei Focolari a celebrare una messa a Yabroude, mi sono recato in quella parrocchia 100 chilometri a sud di Homs e a 1450 metri di altitudine. La temperatura era sotto zero, mi trovavo in chiesa da neanche 10 minuti e già non ce la facevo più a resistere; loro invece, nel più profondo raccoglimento, stavano lì da quasi un’ora. La stima verso quei giovani ha segnato l’inizio della mia avventura con i Focolari”. In quel periodo ogni associazione di origine straniera era guardata con sospetto dal governo. Nel raccontare le difficoltà incontrate, mons. Nehmé scherza sull’episodio del commento in arabo alla Parola di vita, che arrivava dal Libano e venne scambiata per un manifesto di “Falange libanese”. Da allora divennero impossibili le riunioni pubbliche; era permesso solo ritrovarsi in chiesa. “Abbiamo vissuto anni di grande sofferenza. Da qualche tempo però si respira un’aria diversa, malgrado non ci sia stata nessuna dichiarazione ufficiale: col nuovo presidente, che manifesta idee liberali, abbiamo facoltà di fare le nostre Mariapoli e gli altri incontri; di conseguenza si nota una nuova fioritura nell’ambito dei Focolari, i cui centri sono ad Aleppo ”. La spiritualità dell’unità esercita un fascino particolare su mons. Nehmé. Non per nulla appartiene ad una congregazione libanese che segue la regola di san Basilio, il padre della chiesa che reagì alla via eremitica, anacoretica del suo tempo, proponendo uno stile di vita più comunitario. “Ma il bello della spiritualità focolarina – osserva – è che apre l’accesso alla santità a tutte le categorie, a tutte le età È l’intero popolo di Dio che viene condotto a vivere laradicalità dell’amore evangelico”. Altro caposaldo, Gesù che nel suo abbandono in croce si fa via all’unità con Dio e tra gli uomini: “Per me è stata veramente una “tavola di salvezza”, che ha risolto molti dei miei problemi di pastore e anche sofferenze personali, di famiglia”, confessa. Da diversi anni mons. Nehmé partecipa ai convegni dei vescovi amici dei Focolari a Castelgandolfo: occasioni preziose per approfondire, nello scambio reciproco, le ricchezze del carisma dell’unità. L’accento è posto sulla vita, a cui sono tanto sensibili gli orientali: “Le testimonianze evangeliche che ascolto sono esempi così vivi, trascinanti: influiscono sul modo di pregare, di pensare, di essere in relazione con gli altri “Le do un piccolo esempio. Ogni mattina nella cappella del vescovado celebro una messa a cui partecipa un gruppetto di laici e consacrati. Fra gli altri viene un povero, sporco, trasandato. Una volta avevo una reazione di rifiuto nei suoi confronti, ma vivere la Parola mi ha aiutato a vedere anche lui come un fratello da accogliere. “Così pure ho cambiato atteggiamento verso chi bussa alla mia porta per chiedere aiuti materiali A volte veniva da chiedermi: sarà tutto vero? O da rimandare quelle persone a qualche organismo assistenziale. No, se non si può dare niente (siccome viviamo in una certa povertà), si può almeno amare, interessarsi all’altro, dargli un po’ del proprio tempo”. La “nuova evangelizzazione” è stata l’argomento centrale dell’ultimo convegno di Castelgandolfo. “Quando Chiara Lubich ha esposto l’esperienza del movimento al riguardo – riprende il presule, che è anche presidente di una commissione per la catechesi -, sono rimasto colpito in particolare quando affermava che l’evangelizzazione dev’essere opera dell’intero popolo di Dio, il che suppone – come ribadisce lo stesso Giovanni Paolo II – comunità mature. “Stimolare le nostre ad una testimonianza in tutti gli ambiti della vita è un punto cruciale per noi: la gioventù risponde di più (più di 2500 sono i giovani impegnati in 165 centri di catechesi), mentre è più difficile sensibilizzare la gran massa dei fedeli. “Credo che da noi non possiamo parlare tanto di “nuova” evangelizzazione, ma semplicemente di evangelizzazione. Prendendo però in considerazione molti punti di questa nuova evangelizzazione di cui tante volte ha parlato il papa, e che i Focolari cercano di incarnare”. Nell’ottobre prossimo mons. Nehmé firmerà la sua lettera di dimissioni per motivi di età: spontanea è la domanda su cosa gli stia più a cuore, a conclusione di tanti anni d’impegno pastorale. “Che il Signore conceda pace alla terra di Cristo e i luoghi santi possano diventare veramente un ritrovo di famiglia per tutti, cristiani, musulmani ed ebrei. “Che tutte queste ramificazioni della chiesa di Cristo in oriente possano vivere l’amore fraterno e non siano solo spine le une per le altre, ma fiori; fiori in un giardino la cui bellezza è esaltata dalla varietà. Questo sogno per il mio oriente: che diventi un bel giardino fiorito”. I cristiani in Siria Per mons. Nehmé, la visita del papa a Damasco nel maggio 2001 “ha avuto l’effetto di una bomba fra gli stessi cristiani di Siria, stimolandoli, cattolici e no, a prendere più coscienza di certi tesori del cristianesimo dei primi secoli in questa nostra terra (per esempio il V secolo è stato un secolo d’oro: solo nella vallata di san Simeone, vicino ad Aleppo, vivevano 5000 monaci). Egli ha valorizzato questa minoranza nel pluralismo di culture e di civiltà che caratterizza la Siria odierna”. In calo per motivi demografici e di emigrazione, sembra infatti che i cristiani in Siria costituiscano il 10/13 per cento su una popolazione di 18 milioni. Sono presenti i tre rami principali del cristianesimo: cattolico, ortodosso orientale e protestante, con una varietà sorprendente di comunità e di riti. L’ortodossia è rappresentata dalle Chiese ortodosse greca, armena e siriaca, con liturgie rispettivamente in arabo, armeno classico e siriaco (lingua affine all’aramaico). Le comunità cattoliche, in ordine di grandezza, sono le seguenti: – cattolici greci, o melchiti (parola che è la traduzione araba del greco basileus, cioè “imperiale”): dipendono dal patriarca di Damasco, la cui giurisdizione comprende anche i patriarcati di Gerusalemme e Alessandria. Liturgia in lingua araba. – cattolici armeni, con patriarcato a Beirut; nella Siria nord-orientale oltre che a Damasco, Homs e soprattutto Aleppo (oltre la metà di loro). Liturgia in armeno classico. – cristiani maroniti, presenti soprattutto ad Aleppo. Patriarcato in Libano. Liturgia in siriaco occidentale antico. – cattolici romani: nella Siria occidentale e ad Aleppo. Patriarcato a Gerusalemme. – cattolici caldei: nella Siria orientale, ad Aleppo e Damasco. Patriarcato a Baghdad. Seguono l’antica liturgia siriaca orientale.