Il mio miglior nemico
A vedere l’ultimo lavoro di Carlo Verdone va un pubblico vasto e di tutte le età. Attirato dalla sua comicità, ricca di energia esplosiva, e dalla capacità di raccontare storie, che si sviluppano in situazioni ai limiti dell’assurdo. Il film mostra bene come nella società di oggi, così fragile nei rapporti familiari, sia possibile arrivare a toccare il fondo, scoprendo cosa è davvero importante quando ci si trova a perdere tutto. È quanto capiscono un padre (Carlo Verdone), direttore di un albergo, che trascura moglie e figlia, ed un giovane (Silvio Muccino), che si vendica nei suoi confronti per il licenziamento della madre, ma che si innamora della figlia di lui. Così lo spazio si restringe, diventando adatto allo svolgimento della commedia. Il 56enne Verdone, che ricorda Alberto Sordi, ha compiuto una lenta maturazione a partire dalla comicità giovanile, più monocorde e macchiettistica. È pervenuto alla commedia sentimentale e drammatica, avendo imparato ad esprimere con equilibrio vigore e delicatezza, umorismo e maturità. Si riallaccia alla migliore tradizione della commedia all’italiana, pur con qualche variante. Come quella è impietoso nel sottolineare difetti e vizi del nostro tempo, celati sotto le maniere del perbenismo e sempre pronti ad esplodere in reazioni primitive e conseguenze dolorose, raccontandole in modi faceti. Ma, più di quanto normalmente facesse quella, ha il coraggio di proporre un significato morale, in questo caso quello dell’importanza dell’amore sincero nei legami interpersonali.