Il mio mestiere è vincere medaglie

Verso Londra con Daniele Molmenti, talento mondiale della canoa slalom.
Daniele Molmenti

«Ho già detto agli avversari che il regalo lo voglio scegliere io». Il primo agosto, giorno della finale olimpica di canoa slalom a Londra, Daniele Molmenti compirà 28 anni. Il regalo che si aspetta è l'oro olimpico, per il quale è uno dei candidati più seri. Aveva 11 anni quando, per vincere la calura, chiese ai genitori di provare una canoa nel fiume vicino casa, a Pordenone. Il nomignolo di Cali, con cui tutti oggi lo conoscono, diminutivo di Calimero, gli venne affibbiato per la carnagione scura e l'enorme caschetto bianco che portava in testa.

«Sono assolutamente un ragazzo fortunato – ci tiene a spiegare – e non perdo occasione per ringraziare i miei genitori che mi hanno permesso di arrivare dove sono arrivato: grazie alla canoa ho potuto girare il mondo, confrontarmi con persone e culture diverse, in Australia, in Cina, in Brasile, una bellezza mai uguale».

A Pechino, quattro anni fa, giunse decimo e fu una delusione: «Ero allenato bene, fisicamente, tecnicamente, ma non avevo allenato abbastanza il controllo emotivo delle situazioni: esausto già prima della gara, vinto dallo stress, senza grinta e senza concentrazione, ho sbagliato. Mi è servito  molto, sia come atleta, che come uomo: oggi so che è solo una gara da vincere, al pari di tutte le altre».

Dal 2009 in poi, è esploso, raggiungendo grandi risultati e, soprattutto, confermandoli nel tempo. Ho avuto la fortuna di accompagnarlo molte volte in questi anni: di rado si incontrano giovani così attenti, curiosi, motivati, doti che gli hanno permesso di incanalare nel tempo l'esplosiva irruenza istintiva che gli bolle dentro e che in passato ha compromesso qualche prestazione. «Ero molto, troppo impulsivo: o stravincevo o mi schiantavo. Volevo risolvere tutto con la forza fisica, con la potenza… Grazie allo psicologo, Giuseppe Vercelli, sono maturato, ho cominciato a capire i miei limiti, a prendere consapevolezza dei miei mezzi».
A detta di Vercelli, Daniele riesce a guadagnare proprio nelle combinazioni più impegnative, con due o tre porte difficili in sequenza, quelle temute da tutti: «Sono un agonista nato (“il mio mestiere è vincere medaglie”, confessa nel suo sito) e i passaggi difficili sono per me un punto di forza, dove fare la differenza, perché mi piacciono le sfide».

Ad allenarlo è Pierpaolo Ferrazzi (oro olimpico a Barcellona '92 e bronzo a Sydney), anch'egli della Forestale: «Devo molto a Pierpaolo: mi ha fatto capire di non sprecare la mia forza e la mia esuberanza, e, calmandomi un po', ho visto che la barca andava più veloce. Ho cercato di fare mia la sua enorme esperienza di atleta, di guadagnarmi la sua fiducia, di fargli capire che voglio vincere, che non mi accontento di gareggiare ed ora abbiamo un obiettivo comune a cui puntare. Gli ho anche promesso di non salire in moto: il serio incidente di qualche anno fa mi ha fatto capire che per un po' di stupidità ti puoi giocare la vita intera». Ferrazzi sorride: ha visto Daniele maturare giorno per giorno e sa bene che nessuno, nel circo della canoa, ha un rapporto peso-potenza pari al suo atleta.

Ma cos'ha di speciale la canoa che gli altri sport non hanno? Spiegare ai non addetti ai lavori cosa significhi scendere in canoa fra correnti impetuose, facendo slalom fra 23 porte, non è semplice, ma Daniele ci prova: «Ad alto livello gareggiamo su fiumi impegnativi, dove occorre saper unire la forza del corpo, per dare velocità alla barca e controllarla, la forza della mente, per intuire come muovere la canoa nelle onde e passare fra i paletti, e la forza dell'acqua, per capire dove ti spinge e risparmiare energie. Fare canoa slalom significa risolvere situazioni, vedere ed agire di conseguenza: più hai esperienza, più sei concentrato e lucido e più l'istinto dispone di possibili scelte».

La stessa carica agonistica Daniele l'ha messa nel progetto "La squadra della speranza", un pool di atleti e di gente di sport che porta la propria esperienza di vita ai ragazzi, specie a quelli più svantaggiati, per incoraggiarli a sperare in un futuro migliore. «Li aiutiamo a non perdersi, a scoprire la vita, ad avere dei sogni e a fare di tutto per realizzarli, a riscoprire la cultura del fare fatica per arrivare a dei risultati, cominciando col rinunciare alle cose inutili, spendendosi per gli altri, superando la pseudocultura della generosità che invita a mandare un sms per donare qualche euro. È più facile, ma a me le cose facili non piacciono!».

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