Il mio bel San Giovanni
Cosa fosse Firenze nel Medioevo e nel primo Rinascimento lo dice – in parte, perché tutto è impossibile da trasmettere – una bellissima rassegnanella Galleria dell'Accademia (fino all’8 dicembre, catalogo Giunti). Tanto più importante anche per il fatto che oggi la città attraversa un periodo non proprio felicissimo, col rischio di diventare una città-museo invasa dai turisti – per fortuna il centro è diventato un’isola pedonale (Roma lo farà un giorno?) – e dove la cultura rischia di volare basso nelle polemiche cittadine e negli scandali, che nell’Italietta nostrana non mancano mai, purtroppo.
Perciò la rassegna fa bene a Firenze e ai fiorentini. Guardando il meglio del passato si può imparare, forse, a sfruttare ancor meglio il presente. Prova ne sia che la mostra è stata allestita da una équipe di giovani in gamba, guidati da Maria Monica Donato e Daniela Parenti.
Passare tra le sale delle gallerie dell’Accademia è entrare nel vivo di una città in cui le opere d’arte non erano concepite come lavori estetici o estetizzanti, ma come strumenti di comunicazione di messaggi, insomma, opere “vive”. Fossero vescovi o santi, personaggi mitici come Ercole, animali simbolici come il leone; fossero miniature sculture o dipinti, tutto assumeva un valore di comunicazione di determinati contenuti, tesi alla costruzione di una società civile fondata sulla giustizia. Lo dicono le tavole delle Virtù dipinte dal Pollaiolo e da Botticelli, figure sedute in trono a guardare con occhi indagatori la vita cittadina.
La Vergine e il Battista sono i santi patroni. In un società cristiana c’è bisogno della protezione celeste. Le tavole di Giotto e seguaci formano una galleria ricca di colori forti, in cui la Vergine è sempre affettuosa e protettrice, insieme all’ossuto Battista, cui è dedicato l’imponente battistero che si credeva costruito sopra un edificio romano: Firenze contendeva a Siena e a Pisa la volontà di essere l’erede della gloriosa Roma.
Ci sono poi le storie patrie, le vicende della Repubblica, fra guerre e concordati, feste e supplizi.
La tavoletta del Pollaiolo con Ercole che uccide l’idra è segno di una città che vince sui nemici intorno; le scene dell’Incredulità di san Tommaso (il gruppo bronzeo del Verrocchio) parlano della necessità di un fede ardente nella libertà cittadina, voluta da Cristo stesso.
Firenze è un città che si gloria dei suoi geni, anche se li ha perseguitati. Così Dante è celebrato nell’affresco in duomo come il cantore della via umana e divina, ma pure come il grande appassionato della indipendenza della città da qualsiasi tirannia.
Firenze città di mercanti, i Pazzi e i Medici per primi, con il fiorino, con lo stemma del giglio e di san Giovanni, diffuso per tutta l’Europa a dispetto di guerre e congiure (quella dei Pazzi, 1478), favorendo una esplosione economica che ha visto nascere capolavori d’arte ed uno stile di vita elevato.
Non si finirebbe mai di contemplare le opere di questa straordinaria ricostruzione di una civiltà. Perché questo è in definitiva il messaggio della rassegna. Far comprendere come a Firenze sia nata una civiltà in cui l’uomo, libera creatura di Dio, era al centro.
Naturale dunque alla fine fermarsi di fronte al colosso michelangiolesco del David (nella foto), simbolo di libertà contro la tirannia, di innocenza – la nudità – contro il male, di fortezza invincibile contro la disarmonia che capita ad una società quando si allontana dalle virtù civiche.
Il David ha oltre 500 anni, ma la sua forza morale è sempre attuale. C’è da imparare, anche oggi, a Firenze, ma non solo.
Dal giglio al David. Arte civica a Firenze fra medioevo e rinascimento. Galleria dell'Accademia fino all'8 dicembre.