Il militare e gli immigrati

Eritrei, etiopi, somali e sudanesi arrivano alla frontiera egiziana e spesso finiscono nelle carceri in condizioni penose senza cibo sufficiente, senza vestiti e senza farmaci. Alla vigilia di Pasqua però un soldato attraversa le sbarre
Profughi libici

L’immigrazione illegale non è tema esclusivo dell’Italia, spesso i Paesi nordafricani affrontano emergenze simili alle nostre con strutture ben più carenti e con problematiche acuite da condizioni igienico-sanitarie pessime. Eppure dentro una delle prigioni che accolgono questi migranti, le sbarre si sono aperte e hanno lasciato passare la solidarietà e l’accoglienza nelle vesti di un soldato. La good news di oggi arriva direttamente dall’Egitto.

«Da un anno faccio il servizio militare in una città di frontiera. Due settimane prima della Pasqua, sono arrivati nella nostra caserma 180 profughi provenienti da Eritrea, Etiopia, Somalia e Sudan, paesi in guerra e dove la vita, soprattutto di chi professa una fede religiosa è in serio pericolo. I nuovi arrivati erano in maggioranza giovani cristiani e fra essi c’erano anche alcuni bambini dai dieci ai quattro anni di età. Usciti dal loro Paese in condizioni tragiche, avevano intrapreso un lungo viaggio con la speranza di arrivare sulla costa libica e poi in gommone partire verso l’Europa, in cerca di un futuro migliore.

Ma poiché le loro carte non erano in regola sono stati fermati alla frontiera dell’Egitto e messi in stato di detenzione nella mia caserma. Sono rimasto sconvolto dalle condizioni igieniche in cui dovevano vivere tutte queste persone, mangiando un solo pezzo di pane a colazione, pranzo e cena e con qualche piatto di riso ogni tanto. E nonostante questi pasti miseri, mi sono accorto che, essendo in quaresima, digiunavano.

Ho sentito dentro di me che Dio mi interpellava ad amare concretamente questi diseredati o meglio questi fratelli sofferenti, privi di tutto e che vivevano in una condizione subumana. La croce che avrei baciato il Venerdì santo era in qualche modo viva e presente nelle loro storie e nelle loro condizioni. Ne ho subito parlato con i giovani dei Focolari della mia città ed ho coinvolto tutti i miei amici nella raccolta di soldi, medicine, cibo, per poter offrire loro un pasto degno almeno nel giorno di Pasqua.

Ci siamo subito messi al lavoro e in poco tempo abbiamo potuto assicurare loro un pranzo di festa con carne, frutta, verdure: cibi che non mangiavano più da molto tempo.  Tutti i miei aiutanti, incluso mio padre si sono dovuti fermare però all’ingresso della caserma, perché quelle sbarre potevo attraversarle solamente io e quindi mi sono trovato a trasportare da solo vivande per tutti.  E’ impossibile descrivere la loro gioia quando mi hanno visto entrare con tutto questo cibo e soprattutto quel bambino di quattro anni che, a causa della difficile situazione di igiene e alimentazione, era già molto ammalato e non aveva ricevuto cure. Per lui siamo riusciti a procurare tutte le medicine di cui aveva bisogno.

Nella notte della vigilia della Pasqua, mentre tutti si recavano in Chiesa ben vestiti, io andavo invece verso la caserma, con la mia divisa, stanco e sudato perché era stata una giornata assai faticosa nel dover preparare la cena e nel doverla poi trasportare, ma dentro di me assaporavo il sapore della felicità: la mia messa di Pasqua l’avevo celebrata con i miei amici detenuti

 

I più letti della settimana

Il sorriso di Chiara

Abbiamo a cuore la democrazia

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons