Il messaggio del referendum greco all’Europa
Nella metropolitana che mi porta all'aeroporto c'è la gente che torna a casa dopo aver festeggiato la forte vittoria dei no, OXI, sui sì, NEI. Non c'è euforia, come non ce n'era ieri sera a piazza Syndesmos o a Monasteraki. Francamente i mille giornalisti presenti per l'evento si aspettavano qualcosa di più, una straordinaria prova di folla che non c'è stata.
Tsipras, non più certo dei voti della sua coalizione in parlamento, ha voluto ricorrere alla consultazione referendaria sulla sua politica e sulla sua persona. Ha vinto, ha stravinto, ma la piazza ha mantenuto un atteggiamento pudico, direi discreto, forse per la consapevolezza che lo schiaffo ben assestato all'Unione europea non resterà senza conseguenze. «Alla domenica segue infatti il lunedì», mi dice un'anziana addetta alle pulizie. Questo lunedì denso di incognite in cui mercati e istituzioni europee prenderanno atto della volontà popolare dei greci, pur di fronte ad un quesito poco chiaro e a procedure discusse e discutibili.
Tsipras manifesta sicurezza: l'Europa dovrà scendere a patti sulla ristrutturazionedel debito greco e, secondo lui, in 48 ore le banche elleniche riapriranno. Questa è la sua idea, ma in Europa Tsipras non è che uno dei 28, o dei 19 se preferiamo. E soprattutto è isolato. Certi atteggiamenti dei negoziatori greci non ha giovato. Il 61.3 per cento di no non tranquillizza nessuno. Sì, forse in questo modo si è per il momento scongiurata una rivolta "di sinistra", ma non si è più al riparo da una rivolta di "destra" sulle ali di Alba dorada. Dipenderà molto dai possibili nuovi negoziati con l'Unione europea. La quale ha preso forti rischi appoggiando quasi unanimemente il sì e quindi ritrovandosi stamani tra i perdenti.
La gente stamani non ha gran voglia di parlare. Un paio di ragazzetti sono ancora avvolti nella bandiera greca e ripetono come un ritornello: «Ora l'Europa dovrà ascoltarci. Siamo liberi». Ma un uomo sulla cinquantina che sta andando al suo lavoro li apostrofa: «Ma chi vi darà da mangiare in attesa della libertà?». Un duetto che in modo plastico riassume tutta la questione greca di oggi. Un Paese spaccato. Un Paese braccato. Un Paese spacciato. Se non accadrà il miracolo di una rinnovata intesa con le istituzioni europee. E, soprattutto, di una nuova intesa tra i partiti greci dapprima nel negoziato e poi nell'attuazione di quanto concordato.
Un paio d'ore prima dell'esito del voto, un alto funzionario del ministero dell'economia e dello sviluppo, mi ha fatto una analisi spietata dell'inefficienza e della scarsa produttività degli impiegati statali. In particolare sottolineava l'incapacità di lavorare assieme con uno scopo preciso, per raggiungere la salvezza economica e mettere i conti in sicurezza. «Se noi greci non riusciamo tutti insieme ad affrontare i problemi saranno dolori. Dovremo tornare alla dracma e perderemo metà della nostra ricchezza nazionale. Non siamo nemmeno capaci di metterci assieme per sviluppare la nostra maggiore ricchezza, cioè il turismo».
La Grecia in questo referendum ha espresso il suo orgoglio. Bene. Non possono essere calpestati i popoli. Ora però oltre l’orgoglio serve il coraggio di tornare ai tavoli dei negoziati e di contribuire alla soluzione della crisi o si scivolerà fuori dall'Europa in lidi totalmente sconosciuti. Assieme al coraggio del popolo greco ci vuole anche quello della Merkel, di Hollande e di Renzi. «Trovate una politica che sostanzi la finanza. Non fate morire vittima delle banche un intero popolo». Questo è il messaggio del referendum.