Il matrimonio del secolo

Giovanni Sforza e Lucrezia Borgia si sposarono il 9 giugno 1493. Erano stati uniti per procura nel febbraio dello stesso anno per consolidare il potere delle due casate. Terzo appuntamento con "La leggenda nera, I Borgia" di Mario Dal Bello
I Borgia

Strumento per stringere un’alleanza, consolidare il potere di una casata, arricchire un patrimonio. È con queste mire che un tempo si celebravano i matrimoni. Non fa eccezione quello di Lucrezia, deciso per lei da papa Alessandro Borgia. Così, all’età di dodici anni, Lucrezia va in sposa a Giovanni Sforza, conte di Pesaro. Il matrimonio del secolo rivive nelle pagine de La leggenda nera, I Borgia, di Mario Dal Bello. Era il 9 giugno del 1493, una domenica mattina calda, ariosa…
 
«Giovanni Sforza, altero e vanitoso, fa la sua entrata a Roma. L’accolgono alla Porta del Popolo i suoi cognati, Juan, duca di Gandìa, che farà da cerimoniere, e Cesare. La cavalcata attraversa la città al suono di pifferi e trombette sfilando davanti al palazzo di Santa Maria in Portico, dove Lucrezia è pronta da un pezzo.
Agghindata da Adriana, con i capelli sciolti, scintillanti di perle al sole, saluta da lontano con un inchino Giovanni, che ha già sposato per procura a febbraio. Poi, felice, si ritira insieme alle sue amiche, fra cui le parenti di Innocenzo VIII e l’immancabile Giulia. Intanto, Giovanni è arrivato dal papa, che l’attende in trono.
 
Si inginocchia e gli rivolge un breve discorso in latino, dove gli offre se stesso e lo Stato. Il papa, circondato da cinque cardinali, sorride. Giovanni poi si reca nel suo alloggio nel palazzo del cardinal di Aleria, presso Castel Sant’Angelo. Tre giorni dopo, le camere nuove del Vaticano, dove Pintoricchio ha iniziato a dipingere paesaggi e giardini, sono pronte. Tappeti d’Oriente sul pavimento, tappezzerie di seta appese sotto le pitture, cuscini di velluto disposti in ordine e i due troni del papa: uno nella sala grande delle rappresentazioni teatrali e l’altro in quella più piccola per la cerimonia.
 
È Juan che va a prendere la sorella sposa. Veste con un abito alla turca, con un turbante ornato da un gioiello: è così scintillante di perle preziose che contrasta decisamente con l’abito violaceo da vescovo di Cesare. Lucrezia giunge, con la sua bellezza ancora bambina, con un vestito meraviglioso, il cui strascico è sostenuto da una ragazzina nera. Accanto a lei, Giovanni. Dietro la coppia, il seguito di Lucrezia, composto da centocinquanta donne.
 
Manca Vannozza, la madre. Il papa, con la mozzetta cremisi sulle spalle, sta sul trono, radioso, circondato da una decina di cardinali in cappa magna. Lucrezia avanza «portando la persona così soavemente che par non si mova», dirà un relatore. La sua naturale eleganza fa colpo sulla folla di dignitari che gremisce la piccola sala. Lucrezia sarà sempre una donna affascinante.
 
I due sposi si inginocchiano su cuscini d’oro ai piedi del papa. Nel silenzio, si ode la voce del notaio romano Camillo Benimbene che rivolge la domanda rituale, a cui Giovanni risponde: «Voglio e di buona voglia». Gli fa eco il «Voglio» di Lucrezia».

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