Il massacro della pace

Il poliziotto morto nella strage compiuta nella redazione di Charlie Hebdo era musulmano. Spesso, sono proprio i seguaci dell'islam le prime vittime dei terroristi e del fondamentalismo. Una riflessione
Manifestazioni dopo la strage nella redazione di Charlie Hebdo a Parigi.jpg

Ha ragione Sofri su Repubblica quando osserva che «gli assassini urlavano “Allahu Akbar” e il poliziotto ucciso si chiamava Amhed… ». Questo significa che questi assassini hanno ucciso probabilmente anche un musulmano, che nel momento della morte violenta avrà invocato Allah. Questo per dire semplicemente che ci sono molti islam e che spesso la guerra dei terroristi e dei fondamentalisti è contro i musulmani, prima che contro gli occidentali o contro i cristiani.

Ho imparato questo, ben prima della strage di Londra e di Madrid, alla fine degli anni 90. Andando in Algeria, visitando la chiesa algerina che viveva la grande tormenta del terrorismo, che in dieci anni ha prodotto centomila morti, diecimila morti l’anno, nel pieno disinteresse dell’occidente e dell’Europa. Ho visto il martirio del popolo musulmano. L’ho visto a Tipaza, dove un bambino di pochi mesi venne disossato dai terroristi. L’ho visto nell’efferato massacro di Sidi Moussa la notte del 30 agosto 1997, dove oltre quattrocento persone vennero sgozzate alla periferia di Algeri. Una vera e propria mattanza, di cui alcune foto dettero testimonianza al mondo. Ho visto il demone del terrore nel monastero di Tibhirine, dove furono sequestrati  sette monaci, che poi vennero sgozzati come agnelli, dopo oltre cinquanta giorni di rapimento, perché solidali con i loro fratelli musulmani…

Per questo sono andato diciassette anni fa in Algeria, perchè già allora si capiva che la partita algerina riguardava l’Europa e il suo futuro. Pensai di trovare un cimitero e invece trovai una forte resistenza della società civile, che ha vinto la sua battaglia anche per noi.

Se il terrorismo avesse vinto in Algeria negli anni '90, ben altro futuro avrebbe avuto l’intero Mediterraneo. Ma il prezzo più alto lo avrebbe pagato il popolo musulmano dell’Algeria e degli altri paesi della riva sud del nostro Mare.

Ho imparato dal popolo musulmano di Algeria la vera resistenza civile contro il terrore, scegliendo ogni giorno di vivere e non di morire, senza farsi catturare dalla paura, la grande, sottile e astuta compagna del terrore.

Il popolo musulmano dell’Algeria venne lasciato solo dagli intellettuali, dai politici, dagli uomini religiosi dell’Europa, come se la questione non ci riguardasse, fosse un problema interno di un mondo che non ci apparteneva, né ci coinvolgeva.

Il punto di svolta, non dobbiamo dimenticarlo, è stata la prima guerra del golfo. Si è davvero scoperto il vaso di pandora e l’odio ha attraversato il mondo. Non siamo più riusciti a mettere il coperchio.

Il fondamentalismo e il terrorismo hanno attraversato il Mediterraneo, per arrivare fino a Kabul e alla seconda guerra del golfo… Anzi, ci siamo facilmente lasciati convincere che le bombe fossero l’unica soluzione possibile e la guerra si è moltiplicata in Libia e in Siria e le bombe hanno seminato altro odio, in una spirale senza fine.

Abbiamo visto riprendere la guerra dei trent’anni tra sunniti e sciiti, schierandoci a seconda delle convenienze nostre di europei e occidentali, senza capire la gravità di quanto stava accadendo.

E il terrorismo si è fatto stato e le armi si sono moltiplicate, le organizzazioni militari si sono rafforzate, avendo finanziamenti indicibili. L’attrazione della violenza ha prodotto danni imponenti nel cuore e nei comportamenti di giovani, come il massacro di Parigi mostra. Non ci sono scorciatoie al disarmare i cuori e le mani, al difendere la democrazia con la democrazia: una democrazia efficiente e intelligente, lungimirante e coraggiosa, pacifica e forte.

La paura è sempre cattiva consigliera, perchè ci porta sulla via apparentemente breve delle armi e del terrore e spinge e alimenta il cattivo pensiero della guerra. Non regaliamo l’islam ai terroristi di Parigi. Non regaliamo la democrazia ai terroristi di Parigi. Non regaliamo il nostro presente e il nostro futuro di persone libere ai terroristi di Parigi.

La forza morale delle donne e degli uomini religiosi (ebrei, cristiani e musulmani) è in grado di trasformare le lance in falci e le spade in vomeri. Ce lo hanno detto i profeti, ce lo dicono oggi le vittime di questa barbarie.

Di fronte al massimo della violenza, espressa mercoledì scorso a Parigi, noi dobbiamo narrare, con la nostra vita, con la nostra intelligenza, con la nostra passione politica, la forza della mitezza che ogni giorni si dispiega, da Parigi ai villaggi più sperduti della Francia e dell’Europa.

In questo modo non saremo prigionieri del terrore, anzi lo imprigioneremo, osando la pace, il perdono e la riconciliazione. Parole che sembrano retorica, ma che in realtà spezzano la radice dell’odio, del suo vero affluente che è il terrore, del suo vero strumento che è la guerra.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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