Il malessere sociale grida
«Come? Aumentano le tasse, mi abbassano lo stipendio e mi fanno lavorare due anni in piú fino a 67 anni?». «Tagliano il nostro benessere e adesso, vogliono rendere più facili i licenziamenti? Cosa ci manca ancora?». È il pensiero di molti di quelli che hanno partecipato lo scorso 29 marzo allo sciopero indetto dai sindacati contro la riforma del lavoro dell’attuale governo conservatore.
Ma questo sciopero è stato anche un plesbiscito per i sindacati, che hanno perso molta credibilità e appoggio in questi anni, durante i quali hanno barattato con il silenzio le sovvenzioni del governo socialista. Adesso vogliono salvare la faccia, ma la gente, non si fida, anche se non approva la politica del lavoro dell’attuale governo conservatore. Questo spiega la guerra di cifre sulla partecipazione: 77 per cento per i rappresentanti dei lavoratori, 17 per gli imprenditori, 20 per il Governo. Le manifestazioni più partecipate hanno riguardato il settore dell’industria e quello dei trasporti. Parecchi gli incidenti registrati: 176 arresti e molti feriti tra poliziotti (58) e semplici cittadini (46).
Questa è la seconda riforma del mercato negli ultimi due anni e non è stata accolta bene. In Spagna c’è molto malessere sociale. Per strada o all’universitá è facile sentire frasi di contestazione: stringere la cinghia non è più possibile. Per questo lo sciopero non è stato una manifestazione isolata perché in Spagna alla crisi economica e finanziaria si aggiunge quella della disoccupazione. Adesso, ci sono circa 5 milioni di disoccupati, e nel settore giovanile il tasso tocca la spaventosa cifra del 50%.
David ha 34 anni, disegna cartoni animati ed è da disoccupato da due anni. L’aiuto dello Stato è finito. Studia per fare un concorso pubblico, mentre cerca un lavoro che sembra non arrivare mai. Roi è un giornalista di 25 anni, laureato da due anni, non ha mai lavorato e adesso non sa cosa proprio su cosa buttarsi. É disperato.
C’è tanta precarietá. Laura, 27 anni, con una specializzazione in architettura, lavora otto ore o piú, ma ha un contratto solo per quattro e, ovviamente, lo stipendio è inadeguato. Le storie sono davvero tante. La situazione è molto complicata e ai giovani, che già non si sentono rappresentati, riconosciuti e non adeguatamente retribuiti, si è aggiunta tanta più gente. La riforma del lavoro, che prevede maggiore flessibilità, licenziamenti più facili, indenizzi minori ed anche aiuti e sgravi fiscali per l’assunzione di giovani e lavoratori con più di 50 anni, dovrebbe cambiare queste situazioni. Ma i risultati si vedranno sul lungo termine ora si vede solo nero.
Ai disagi si aggiunge la crisi di credibilità politica. I casi di corruzione dilagante nei due principali partiti, i privilegi mantenuti mentre sul benessere delle altre classi sociali si è molto tagliato hanno già ulteriormente assottigliato il già scarso margine di fiducia del popolo.
Il governo accusa il colpo dopo il varo delle nuove misure di austerità. I primi 100 giorni del governo di Mariano Rajoy hanno portato a riforme molto profonde, per niente popolari, al fallimento elettorale in due regioni, ad un malcontento sociale generalizzato, mentre i bilanci presentati sono tra i più austeri della storia spagnola. Tagli del 17 per cento sui ministeri e circa trenta milioni di euro in meno per la spesa sociale. Polemiche poi sull’amnistia fiscale che dà un colpo di spugna ai reati legati ai capitali occulti, praticamente impuniti.
Dicono che le riforme non sono ancora ultimate, ma nessuno dice che quella che si sta affrontando è una vera e propria crisi di valori che riguarda l’intero sistema sociale, e non soltanto la Spagna. L’Europa deve esaminare in profondità il modello di crescita che ha scelto e i valori che stanno alla base, perché senza questo sguardo niente la salverà da futuri fallimenti. Servono progetti da pensare insieme e non come singole nazioni perché questi sforzi rischiano di essere vani e di accrescere solamente il malessere sociale.