Il Logos e il nulla
I rapporti fra le grandi religioni non sono più, oggi, una materia di cui si occupano soltanto gli specialisti: la globalizzazione e la presenza di immigrati provenienti da altri continenti, che creano le loro comunità all’interno delle nostre città, ha portato l’esigenza e le difficoltà del dialogo interreligioso all’interno dell’orizzonte quotidiano di molti di noi. I conflitti internazionali degli ultimi anni, inoltre, hanno messo sotto gli occhi di tutti come le religioni possano essere usate – snaturandole – in funzione dei conflitti, e quanto determinante possa diventare il dialogo fra di esse per favorire la pace. Molti buoni motivi, dunque, spingono ad una maggiore conoscenza reciproca e al dialogo. Ma a questo si deve fornire un fondamento, che permetta di rispettare le diversità, ma anche di trovare un “luogo” non solo pratico, di vita quotidiana, ma anche dottrinale, di incontro. È proprio ciò di cui si occupa il recente lavoro del prof. Piero Coda, Il logos e il nulla. Trinità religioni mistica (Città Nuova Editrice), con il quale affrontiamo l’argomento. Prof. Coda, il titolo del suo libro fa riferimento al “logos”, cioè al parlare, al manifestarsi, riferito in primo luogo al parlare di Dio: che cosa si intende per “rivelazione”? “Rivelazione significa, nel contesto cristiano, il progressivo intervento nella storia, da parte di Dio, per mostrare il suo volto agli uomini. È una rivelazione che inizia con la chiamata di Abramo, si sviluppa lungo l’Antico Testamento e giunge alla sua pienezza in Gesù, che è la Parola di Dio fatta carne, e vedendo il quale – come dice Gesù stesso – si vede il Padre: “chi vede me vede il Padre”. “Ciò non vuol dire che non vi siano altre forme di rivelazione al di fuori della storia ebraica e cristiana. Non si tratta di rivelazione nel senso specifico nel quale si realizza nella “storia della salvezza” da Abramo a Gesù, e che viene custodita e trasmessa nella chiesa, ma si tratta di un rendersi presente, da parte di Dio, all’uomo in molte forme e in molti modi, come dice la Lettera agli Ebrei”. Si può allora parlare di religioni “rivelate”? “Per distinguerle dalla tradizione ebraico-cristiana, alla quale si deve accostare anche l’Islam, che si richiama esplicitamente alla tradizione di Abramo, è bene non chiamarle religioni rivelate, nel senso pieno che adottiamo nel primo caso e soprattutto in riferimento a Gesù. Certamente, dove esiste un’autentica esperienza e tradizione religiosa, si può pensare che è in atto una qualche forma della presenza e dell’opera di Dio. La tradizione della chiesa, a questo riguardo, riprende l’idea di Giustino, filosofo platonico e poi teologo cristiano del secondo secolo, il quale sosteneva che vi sono dei “semi” del Verbo nelle varie culture umane. Ma il Verbo è il Rivelatore: ciò significa che vi sono dei semi di rivelazione nelle grandi religioni. E vi è anche una presenza misteriosa ma efficace dello Spirito Santo, come insegna il Vaticano II. Dunque, là dove l’uomo si apre al Mistero e ne accoglie l’appello, è presente Dio stesso”. Il suo libro, oltre al tema della rivelazione, svolge un approfondito esame del ruolo della mistica: per quale motivo? “La rivelazione dice, innanzitutto, la “parte” svolta da Dio; mentre la mistica, nelle diverse tradizioni dell’Occidente e dell’Oriente, esprime l’apertura e lo slancio che la persona umana vive verso Dio e l’entrare in comunione sempre più profonda con lui, sino a diventare una cosa sola, per pura grazia. Nelle religioni si esprime, in definitiva, la profonda nostalgia dell’unità con Dio, suo Creatore, che abita la persona umana. La mistica, dunque, dice il “destino” della rivelazione, spiega, dal punto di vista dell’uomo, il motivo per il quale Dio si rivela: ammetterci alla comunione con sé. E questa comunione non consiste soltanto nella conoscenza di determinate verità su Dio, ma precisamente nell’avere un’esperienza reale dell’incontro con lui e, alla luce di questa esperienza, vivere anche l’esistenza storica in forma nuova e ricca”. Per quale motivo nella sua ricerca, e già nel titolo di essa, vengono accostasti il “logos” e il “nulla”? “La dinamica del nulla ci viene presentata nel Nuovo Testamento come la logica pasquale dell’entrare in comunione col Padre passando per Gesù crocifisso e risorto, plasmati dallo Spirito Santo. Occorre “perdere sé stessi” per potersi ritrovare, come Gesù nella sua pasqua. È un “nulla” conosciuto da chi vive l’amore, che implica sempre, per accogliere e donarsi all’altro, il dimenticare sé stessi. È questo oblio di sé, il nulla di cui parla la tradizione mistica dell’Occidente in ambito cristiano. Ma questa dinamica del farsi nulla per attingere l’Assoluto è ben conosciuta anche dalle grandi tradizioni orientali: da alcune forme dell’induismo, dal buddhismo, dal taoismo. Anche in questo vi è un seme, un grande seme del Verbo”. Dunque, dopo avere trovato una certa forma di rivelazione nelle grandi religioni, vi troviamo anche una certa esperienza di autentica mistica: in tal caso, nel cristianesimo e nelle religioni orientali esiste una similitudine sia per quanto riguarda il manifestarsi di Dio, sia nella risposta dell’uomo? “Certamente. Anche se nel cristianesimo, grazie a Gesù, sia la rivelazione che la mistica attingono il loro vertice. Non per escludere le altre vie verso Dio,ma per compierle, per ricapitolarle anzi sviscerandone al massimo le potenzialità positive e correggendone gli eventuali errori. Del resto, nella civiltà occidentale, per il legame con la sua radice greca, si è molto sviluppato il principio del logos, che si è poi incontrato con il “Logos che si fa carne” del cristianesimo. Nelle tradizioni orientali si è sviluppata invece una grande sensibilità per la dinamica dell’annientamento di sé per attingere l’Assoluto. Tanto che un punto provvidenziale d’incontro tra le tradizioni dell’Occidente e dell’Oriente può essere individuato e vissuto proprio guardando a Gesù che, come ha evidenziato l’Occidente cristiano, è la Parola di Dio, il Logos che si fa carne, la pienezza della rivelazione; ma, al tempo stesso, come testimonia il filone mistico cristiano – restato minoritario nella cultura occidentale – è quel Logos fattosi carne che manifesta e comunica pienamente Dio perché si annulla nell’amore, e apre così anche a noi la strada per attingere nello Spirito il Padre, partecipando alla sua morte e alla sua risurrezione. “La tradizione mistica del nulla, ma intesa alla luce di Gesù come amore, si presenta oggi come il punto d’incontro privilegiato con le grandi tradizioni orientali; tanto che verrebbe da pensare che finora, in questi primi duemila anni di cristianesimo, esso, inculturandosi in Occidente, ha soprattutto evidenziato la sua dimensione di rivelazione, di Logos; mentre in questo momento, incontrandosi con l’Oriente, è provocato a scoprire maggiormente in se stesso la profondità e pienezza del movimento del Logos che è il nulla dell’amore, il dono dello Spirito. Indicando così anche uno sbocco positivo all’esito nichilistico della cultura occidentale”. Ma quale riconoscimento può avvenire, da parte delle grandi religioni orientali, della centralità di Cristo? “Penso che la possibilità di questo riconoscimento stia anzitutto nel vivere, da parte dei cristiani, della chiesa, la grazia che loro è donata in Cristo, nella forma dell’ apertura, della dedizione, dell’accoglienza, che è una forma di “kenosi”, cioè di annientamento d’amore di sé di fronte all’altro per testimoniare l’amore sorprendente di Dio in Gesù. Le grandi religioni orientali devono poter riconoscere, nella testimonianza che viene data dai cristiani, che in Cristo c’è la realizzazione di quell’ esigenza di consegnarsi a Dio per conoscerlo faccia a faccia, che vive dentro la loro storia e il loro universo culturale”. Non potrebbe sembrare, questa, una sorta di rinuncia al logos, cioè alle verità che il cristianesimo contiene, per consegnarsi al dialogo sulla sola base della mistica? “Certamente no. È bene chiarire il significato di “mistica”. Nel senso cristiano originario, essa non è l’esperienza straordinaria riservata a qualcuno al di fuori del contesto normale della vita di tutti; è, invece, l’esperienza della vita nuova in Cristo risorto come comunità, nella quale si tocca la presenza dello Spirito Santo, si è introdotti alla presenza del Padre, e si vive in quell’amore reciproco, in quella comunione e unità in Cristo che è l’essenza e il fine di ogni esperienza religiosa. Quando si dice che oggi il cristianesimo è chiamato a proporsi come la realizzazione concreta, di vita, dell’esperienza di Dio, e del Dio di Gesù Cristo, il Dio trinitario, penso a tante esperienze cristiane del nostro tempo. Il teologo Karl Rahner diceva che il cristiano di oggi o è un mistico, o non è. “Anche il mio libro nasce da questa radice, si nutre dell’esperienza di Chiara Lubich e del Movimento dei focolari: dove si cerca di vivere nella quotidianità l’esperienza d’identificazione con Gesù nel massimo del suo amore, e cioè del suo annientamento, che Chiara chiama Gesù Abbandonato. E questo per vivere la comunione piena con Dio e la comunione piena con i fratelli. In questa esperienza, quello che è considerato il vertice della mistica classica, cioè l’identificazione con Gesù crocifisso nel suo annullarsi per amore ed entrare in Dio, diventa la chiave dell’esperienza cristiana vissuta insieme nella quotidianità: “Come tu Padre sei in me e io in Te, siano anch’essi in noi una cosa sola””.