Il Libano torna a sperare

L’accordo concluso a Doha, in Qatar, tra le forze politiche libanesi per superare un pericoloso stallo istituzionale che durava da un anno e mezzo è una svolta che potrebbe significare per il Libano una nuova stagione di concordia e di riconciliazione nazionale. Conoscendo la regione, il condizionale è d’obbligo, ma ora giustamente prevale la speranza. L’accordo è, come si dice in gergo diplomatico, un onorevole compromesso, ed è composto da diversi elementi: l’elezione consensuale del nuovo presidente della Repubblica, il generale Suleiman; la formazione di un governo di unità nazionale in cui l’opposizione (hezbollah, Amal, generale Aoun) ottiene la cosiddetta minoranza di blocco, sarà cioè in grado di fermare decisioni non gradite; infine, il mantenimento su base confessionale e non demografica delle circoscrizioni elettorali di Beirut (riservate per il 50 per cento ai cristiani e per il 50 per cento ai musulmani). Non vi sono, in sostanza, né vinti né vincitori. O meglio, vince il Libano, che ha vissuto nelle scorse settimane momenti critici di scontri armati nelle strade di Beirut, che avevano fatto temere il ritorno agli anni bui della guerra civile. Vince la Lega araba, che ha giocato un ruolo estremamente costruttivo (specie Egitto ed Arabia Saudita) e che in pratica ha rischiato la sua stessa credibilità di organizzazione regionale sulla riuscita della sua mediazione. Vince infine il piccolo Qatar ed il suo emiro, che ha coraggiosamente investito tutto su questo obiettivo sia guidando missioni di conciliazione in Libano sia ospitando le trattative finali. Tutto bene, dunque? Quasi. Gli eventi libanesi delle ultime settimane hanno dimostrato che solo la via dell’intesa è quella praticabile. La prova di forza che il governo Siniora aveva posto in essere per rimuovere il responsabile della sicurezza dell’ae roporto di Beirut e per smantellare la rete di comunicazioni riservata di hezbollah si è infranta contro la reazione del movimento sciita; il quale conserva inoltre intatta tutta la sua influenza (ed il consenso popolare) nel sud del Paese, area ove si trova il contingente di Unifil, per il quale un cambiamento di mandato, al di là della retorica, non è per ora all’ordine del giorno. Certo, i punti irrisolti sono di primaria importanza. C’è ad esempio la necessità di rafforzare le istituzioni sovrane in tutto il Paese e, in questo quadro, il ruolo di un unico esercito nazionale. Senza dimenticare gli equilibri regionali, che vedono il Libano impegnato per la stabilità e la pace in un’area ove attori come Siria, Israele, Iran giocano una complessa partita.

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