Il lavoro restituisce la speranza ai giovani
Diverse istituzioni pubbliche e private mirano ad accompagnare i giovani nella ricerca attiva di lavoro. Anche la Chiesa cattolica coglie la sfida sempre attuale di orientare le nuove generazioni verso uno sbocco lavorativo in sintonia con la propria vocazione e i propri talenti. Uno degli strumenti di cui si serve è il Progetto Policoro, avviato nel 1995 a Policoro (Matera) e promosso dalla Conferenza Episcopale Italiana. Sebbene inizialmente fosse destinato alle diocesi del Sud, pian piano si è diffuso anche tra quelle del Centro e Nord Italia.
L’obiettivo del Progetto è quello di contribuire all’inserimento occupazionale dei giovani mediante un’azione guidata che permette loro di riconoscere le proprie capacità e aspirazioni, al tempo stesso che li indirizza affinché possano scegliere fra una più ampia varietà di opzioni.
Si tratta di un servizio gratuito offerto in maniera coordinata dalla Pastorale sociale e del lavoro, dalla Pastorale giovanile e dalla Caritas a chiunque si affaccia allo sportello di ascolto. I pilastri dell’iniziativa sono tre: giovani, Vangelo, lavoro. Così, di fronte alla precarietà e alle carenze che i giovani riscontrano nel mondo lavorativo, il Progetto Policoro funge da catalizzatore di speranza, facilitando l’accesso a opportunità di lavoro dignitoso e attività imprenditoriali che permettono di costruire un legame generativo con il territorio d’origine.
I giovani di ogni diocesi che aderisce al Progetto vengono accompagnati dai tre direttori delle pastorali, uno dei quali è tutor del progetto, e da un animatore di comunità, i quali si formano sulla Dottrina Sociale della Chiesa e sull’economia civile e agiscono sul territorio per tre anni. Una delle animatrici di quest’anno è Cloe Scano, della diocesi di Cagliari. Ha 29 anni e ha studiato Economia manageriale. Attualmente lavora in uno studio di tributaristi ed esperti contabili e fa parte della Pastorale sociale e del lavoro.
Per lei il Progetto Policoro è una chiave di supporto, un pungolo per innescare processi virtuosi che favoriscano l’inserimento professionale dei giovani, in questo caso in Sardegna. «Il bello è che non c’è un modello standard – sostiene Cloe –. Ogni animatore sviluppa le attività in base alla sua vocazione». Tra le azioni di supporto nella ricerca attiva di lavoro vi sono la realizzazione del CV, formazioni, simulazioni di avvio di attività imprenditoriali, candidature a bandi e politiche attive del lavoro. «La prima cosa – prosegue l’animatrice – è fare un’analisi della situazione e le caratteristiche del giovane. A volte tanti vengono scartati per delle banalità pur avendo del potenziale, ed è qui che possiamo intervenire».
Inoltre, la giovane considera essenziale «capire prima i problemi del tessuto sociale per poi sapere come opera», e afferma che «le opportunità imprenditoriali e gli strumenti ci sono». Per questo motivo, la sua funzione è quella di intraprendere e di aiutare altri a farlo. Gli incontri avvengono nelle università, nelle scuole, nelle parrocchie, negli spazi associativi e in altri luoghi frequentati dai giovani.
«L’imprenditorialità è una vocazione altissima e richiede di avere determinate caratteristiche personali – racconta Cloe –. Personalmente sono figlia di due imprenditori e non mi vedrei come dipendente da nessuna parte». Grazie al Progetto Policoro, continua, «molti hanno trovato il loro sbocco vocazionale. A me quello che attira tantissimo è lo scoprire come posso essere di servizio per la mia comunità».
Cloe finisce con un’affermazione che sembra andare controcorrente, ma che dà un chiaro esempio dei frutti che il Progetto sta seminando: «Nel mio mi reputo ogni giorno fortunata di essere in un posto dove mi sento valorizzata e nel quale il mio lavoro viene riconosciuto».
Claudio Chessa è stato anche lui animatore di comunità fino al 2020. Oggi ha 33 anni, studia Economia, Finanza e Politiche Pubbliche e lavora come organizzatore nel Teatro Nonviolento Theandric di Cagliari. Per lui il Progetto ha contribuito ad ampliare la sua conoscenza della propria diocesi e a costruire rapporti con i giovani delle altre. Ma ha innescato anche un cambio di mentalità: «Mi ha dato consapevolezza di chi sono, mi ha fatto maturare sul significato del concetto “lavoro” e ciò che io vorrei che fosse. Mi ha fatto capire che qualunque lavoro farò vorrei che lasciasse un’impronta a casa mia».
A differenza di Cloe, Claudio ha capito che non aprirebbe una azienda perché l’imprenditorialità non è la sua strada. Invece, si dedica anima e corpo all’associazione culturale Theandric, che promuove la cultura della nonviolenza attraverso l’arte. L’idea è quella di incoraggiare la risoluzione pacifica dei conflitti politici, personali e sociali, coinvolgendo direttamente il pubblico nei diversi laboratori teatrali.
«È un mondo affascinante, faticoso, in cui devi saper lavorare con le istituzioni. Noi lavoriamo al teatro Sant’Eulalia, appartenente alla parrocchia omonima, e percepisco che questo posto ha vita, è uno spazio fisico in cui esprimersi e nel quale io posso dare il mio contributo».
Claudio riconosce che in Sardegna c’è un potenziale enorme, anche per creare del buon lavoro. E nel suo caso, il Progetto Policoro è stato «un motivo in più per insisterci», convinto di poter concorrere con le sue capacità allo sviluppo dell’isola.
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