Il lavoro, la democrazia e la partecipazione
Cgil, Cisl e Uil pongono fine ad una serie di contrasti recenti decidendo di tornare a manifestare assieme, sabato 22 giugno, in piazza san Giovanni a Roma. Come ha affermato Susanna Camusso, della Cgil, si tratta di «stare al centro di una stagione nuova in cui le ragioni del lavoro tornino al centro delle politiche economiche», mentre per Raffaele Bonanni della Cisl bisogna prima «bisogna ripristinare il significato del lavoro nel nostro Paese» perché «prima di dare ricette economiche, che comunque sono necessarie, il sindacato deve lavorare insieme per ritornare alle radici della questione morale del lavoro». Secondo Luigi Angeletti della Uil «la crisi che sta travolgendo il nostro Paese rischia di spezzare quel sentimento comune che si è creato nel corso degli anni. Sta travolgendo soprattutto il comparto manifatturiero della nostra economia. Le contraddizioni stanno esplodendo».
Per comprendere il senso di queste affermazioni possiamo partire da quanto rileva l’ultimo rapporto della sezione Ricerche e Sviluppo di Mediobanca sulle “multinazionali industriali”, interamente accessibile dal sito della prima banca d’affari italiana: le grandi società europee non assumono più nel proprio territorio di origine. Quelle italiane si stanno allineando con questa tendenza perché, se e quando creano lavoro, la percentuale maggiore riguarda la localizzazione all’estero.
Un dato interessante di Mediobanca riguarda la Exor, holding degli eredi Agnelli controllante la Fiat, che avanza nella classifica 2012 dei giganti mondiali raggiungendo il ventesimo posto, dopo l’Eni, ma prima di Finmeccanica. Eppure, come riportano i recentissimi dati dei produttori europei di auto (Acea), mentre procede velocemente l’acquisizione del controllo della Chrysler con conseguente quotazione affidata al mercato azionario statunitense, si registra una flessione negativa delle vendite in Europa, in particolar modo per la Fiat, che ha una percentuale di utilizzazione degli impianti sempre più ridotta e un numero elevato di lavoratori obbligati a non entrare in fabbrica per andare in cassa integrazione. Lunghi periodi di forzata inattività accompagnati da un reddito sempre più ridotto garantito dagli ammortizzatori sociali in via di esaurimento.
Sono 457 milioni le ore di cassa integrazione richieste all’Inps dalle aziende italiane nel primo quadrimestre 2013. Questa carenza di lavoro sta producendo un cambiamento profondo nella vita delle persone, come abbiamo cercato di cogliere nella prima parte del colloquio-intervista con Adriano Serafino, redattore del sito sindacalmente.org, al quale abbiamo posto alcune domande sul peso effettivo dei lavoratori all’interno delle aziende.
Partiamo dal caso recente della Bertone, la grande carrozzeria torinese, passata, dopo tanti conflitti tra gli eredi della proprietà, sotto il controllo della Fiat che l’ha destinata alla produzione delle Maserati. Una vicenda che ha visto oltre mille dipendenti vivere anni nell’incertezza fino all’arrivo dell’offerta di Marchionne.
Quale ostacolo esiste ad una partecipazione diretta ed effettiva dei lavoratori alla gestione delle aziende come avviene in Germania?
«La storia della Bertone è emblematica per più motivi. Un marchio di prestigio, lavoratori che stimavano la proprietà, lavoratori organizzati da sempre nei sindacati e a forte maggioranza Fiom; una crisi lunghissima nella famiglia Bertone che si fa la guerra, poi il fallimento ed i liquidatori che si orientano a vendere all’imprenditore Gian Marco Rossignolo, gradito alla Fiom. Ma il finale è a sorpresa: prevale l’offerta e le garanzie di Sergio Marchionne che costruisce il progetto Maserati esigendo l’applicazione del modello sindacale di Pomigliano e di Mirafiori».
Tutto sommato è andata bene conoscendo la storia…
«Già, perché Rossignolo in seguito sarà recuperato dalla Regione Piemonte per trovare una soluzione alla crisi dell’ex-Pininfarina, subentrando alla proprietà De Tommaso che aveva rilevato lo stabilimento. Ad un certo punto entra in campo la magistratura per brogli e frodi con arresti nella famiglia Rossignolo e nel suo entourage. È un colpo non indifferente per Regione, enti locali e parte dei sindacati che avevano manifestato pubblica fiducia a Rossignolo ed ai suoi progetti. C’è dunque da stupirsi se le maestranze plaudono coloro, come la Fiat, che mantengono l’impegno?».
Ma la partecipazione?
«La partecipazione dei lavoratori diretta ed effettiva alla proprietà dell’azienda è uno dei temi più controversi delle strategie sindacali e della sinistra italiana e mai approfondito a sufficienza. In Italia esisteva un’esperienza positiva ad Ivrea ai tempi di Adriano Olivetti con i “Consigli di gestione” elettivi che avevano competenze su determinate materie sociali (ne ho esperienza diretta perché in quel periodo lavoravo all’Olivetti). I sindacati scelsero la strada della contrattazione e ritennero dispersivo e confuso quel ruolo. Credo sia stato un grosso errore di strategia anche perché non implicava come condizione l’azionariato dei lavoratori».
Non c’è anche un riferimento nella Costituzione?
«L’articolo 46 della Costituzione Italiana riconosce un vero e proprio diritto: infatti “ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende”. Uno dei tanti articoli della Costituzione che sono rimasti sulla carta. Forse è il termine “gestione” che andrebbe ripreso e contestualizzato. Siamo fermi a quel diritto potenziale? No, siamo più avanti. Curiosamente nella tanto contestata legge Fornero del 2012 c’è una premessa che delega il governo ad adottare uno o più decreti legislativi finalizzati a favorire le forme di coinvolgimento dei lavoratori nell'impresa».