Il lavoro dall’alto di una gru

Il lavoro dall'alto di una gru

Li abbiamo visti scendere dalla gru come gli scalatori dopo la conquista della vetta, provati ma felici. In poco più di una settimana i quattro operai della Innse, storica industria milanese, hanno dimostrato che è possibile mediare tra gli interessi in campo e individuare soluzioni alternative alla chiusura della fabbrica.

 

Dopo che per mesi una rassicurante coltre di silenzio, sostenuta dal governo e dai mezzi di informazione, ha avvolto l’impatto della crisi economica sui lavoratori e sulle famiglie italiane, il gesto di quattro operai ha messo a nudo che la crisi c’è e colpisce diffusamente. Un gesto che ha fatto scuola rapidamente, generando mobilitazioni simili in varie parti del Paese, dalla Cim di Marcellina (Roma) alla Manuli di Ascoli Piceno. È necessario interrogarsi sul volto di questa protesta, alla vigilia di un settembre caldo nel quale molti lavoratori perderanno il lavoro e forme di conflitto più estremo rischiano di farsi largo.

In primo luogo, come ha sottolineato tra gli altri il sociologo Luciano Gallino, questa protesta è stata innovativa, «ben inventata quanto efficace». All’annuncio dello smantellamento delle strutture della propria fabbrica, un piccolo gruppo di uomini ha deciso di usare simbolicamente di sé, del proprio corpo, di esporsi alla fatica, al rischio, alla sopportazione del caldo, riuscendo a convincere le parti in causa a trovare una soluzione che salva la produzione e i 49 operai dalla disoccupazione.

In secondo luogo, la vicenda mette in luce un conflitto più nascosto tra lavoro e rendita nelle economie delle nostre città. Se la Innse andava bene sotto il profilo economico, perché decidere di venderla, senza prima assicurare una continuità lavorativa agli operai? Forse perché trarre un utile dalla chiusura può sembrare a qualche imprenditore una via d’uscita più facile; forse perché rendere disponibili terreni edificabili attraverso la dismissione industriale in una parte della città investita da processi di ristrutturazione urbanistica e di valorizzazione immobiliare, sembra a qualche proprietario (in questo caso, il Comune) un’occasione da non perdere. Interessi certamente legittimi ma privi di visione di lungo periodo.

Allora, qualche volta – come ha dichiarato uno degli operai – «bisogna salire più in alto per poter vedere lontano», per trovare risposte innovative alle sfide della crisi, per sperimentare forme nuove di protesta e di negoziazione, per anteporre le ragioni del lavoro a quelle della rendita.

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