Il kamikaze e il giornalista
Faceva una certa impressione la centralissima Galleria Mazzini, proprio dietro il Palazzo Ducale e il Teatro Carlo Felice in occasione della festa organizzata a margine di un convegno che discuteva di media e religioni. Chi si trovava a passare nei dintorni rimaneva più che sorpreso, chiedendosi se avesse sbagliato strada. Sotto la volta vitrea, echeggiavano in effetti le arabescate note del canto del muezzin, le sincopate melodie dei giovani sikh, i rotondi gorgheggi indù o le nenie rumeno-ortodosse. Una festa è risultata anche la lunga processione che ha simbolicamente toccato i principali luoghi di culto delle diverse fedi su e giù per le strade di Genova, per concludersi al Vecchio porto, alla moschea, dove un folto gruppo di musulmani ha accolto i partecipanti reggendo ognuno una candela accesa. Festa e serietà, come succede di solito in questi meeting che il popolo del dialogo interreligioso organizza qua e là nel mondo, sotto diverse etichette, col comune intento di mostrare quanto siano false le opinioni di chi taccia le fedi di intolleranza e fondamentalismo; o, viceversa, di chi vuole trasportare le religioni sulla pericolosa china dell’intolleranza e della violenza. Questa volta è stata la Conferenza mondiale delle religioni per la pace (Wcrp) europea, e la sua vivace sezione genovese, a voler riunire esperti ed operatori dei media attorno allo spinoso tema del rapporto che intercorre tra i mezzi di comunicazione di massa e le religioni. Circa 200 partecipanti hanno così dibattuto e dialogato nella serenità e nell’ascolto. Certo, nei corridoi qualche diversità di vedute opponeva ebrei e musulmani, indù e cristiani; ma nel rispetto, nella volontà di capirsi. Il che è già testimonianza di quella regola d’oro del dialogo che è il volere per l’altro quello che si vuole per sé. Jehangir Sarosh, moderatore della Wcrp europea, di religione zoroastriana, ha citato un detto buddhista: Siamo tutti interconnessi. E religione cosa vuol dire se non re-ligio, ricongiungere? Quindi la comunicazione, e quella dei media in particolare, ha a che fare in modo direi strutturale con il dialogo tra le religioni. Anche se, ammette Sarosh, i media non hanno alcun obbligo nei nostri confronti… Noi dobbiamo piuttosto imparare il modo di convertire un evento in una vicenda, e questo è ciò che gli operatori dei media hanno da insegnarci. Come ad esempio hanno fatto Lisa Palmieri Billig – giornalista e vicepresidente della Wcrp europea, ebrea – e Yasemin Taskin – corrispondente a Roma per il massimo quotidiano turco, di religione musulmana -: un esempio di dialogo per come hanno saputo rapportarsi tra loro in pubblico, e una lezione per intuire come gli attori del dialogo interreligioso debbono presentarsi all’esterno. Se la Taskin ha sottolineato come, in particolare in Italia, si noti una grave superficialità della massima parte dei media nel presentare le vicende musulmane, la Palmieri Billig ha messo in guardia contro una serie di errori che si corrono quando si parla dei rapporti tra fedi diverse: primi piani degli avvenimenti che spesso falsificano la verità; assenza di coscienza e memoria; corruzione; mezze verità; sensazionalismo; dar voce solo alle maggioranze dimenticando le minoranze… Ce n’era di che riflettere, anche considerando che alcuni interventi di grande valore, come quello del gesuita Jacques Dupuis, hanno mostrato come ormai sia ineluttabile la ricerca di un comune denominatore tra le religioni, pena il rischio di vedere accentuarsi la disperazione dell’umanità e soprattutto la paura, vera nemica della pace e amica, amicissima, della guerra. In questo contesto, i media non possono non avere un ruolo determinante: possono dar fiato ai kamikaze e alle ingiustizie, o al contrario spargere semi di pace. ONESTÀ E SENSIBILITÀ Stralci del messaggio di Chiara Lubich alla conferenza di Genova In questo lavoro di dialogo, decisivo per il futuro dell’umanità, i media hanno un ruolo di primo piano: dovrebbero essere proprio i luoghi e i tempi culturali provvidenziali, aperti ed offerti a dare risalto a questo dialogo. Ciò domanda ai media, dobbiamo esserne consapevoli, una estrema onestà intellettuale; un’assenza di secondi fini che finiscono col mettere in ombra il dialogo stesso; una sensibilità estrema alle vibrazioni spirituali che non possono non accompagnare il dialogo in atto. È necessaria un’informazione attenta, capace di estendersi in tutte le dimensioni delle realtà in dialogo, senza ridurle o mutilarle. È necessario il superamento di qualsiasi pregiudiziale ideologica. Occorre sì severità scientifica, che non si sottragga al mistero divino umano che sottende il dialogo interreligioso, né sia ignara di quella affettività che deve accompagnare gli incontri sinceri e costruttivi tra gli uomini.