Il grido di chi non sopravvive
Un’ordinaria scena di sfratto in un quartiere popolare assume i contorni della guerriglia urbana: forze dell’ordine in tenuta antisommossa, le famiglie che si mobilitano, il disperato tentativo di rimanere fino all’ultimo nell’alloggio, lo sgombero forzato del mobilio e da ultimo, a porre fine all’intervento, la distruzione dei sanitari e la posa della porta antisfondamento. Milano in questi giorni rivela il suo volto più sofferente e disperato. A scatenare la reazione popolare l’avvio di una nuova fase di sgomberi di occupanti abusivi di alloggi pubblici. Non è difficile capire cosa stia accadendo in queste ore. Molto più difficile sarà individuare soluzioni politiche degne di una città civile.
Corvetto, Calvairate, Quarto Oggiaro, Stadera, Giambellino sono solo alcuni dei nomi di questa complessa e sempre più difficilmente governabile “macchina” dell’edilizia pubblica. Una macchina organizzativa che dà casa al 10 per cento dei milanesi e che sempre più spesso si trova a gestire tensioni e conflitti: negli ultimi anni sono cresciute le occupazioni abusive, unica valvola di sfogo ad un’emergenza abitativa drammatica, il racket degli appartamenti, le forme di sfruttamento e violazione sistematica della legge. Gli sfratti, saltuari e spesso dimostrativi, sono stati spesso anche in passato occasioni di guerriglia urbana.
È un serpente che si mangia la coda. Chi occupa abusivamente un alloggio viola la legge e scavalca il diritto di chi è in graduatoria e attende un alloggio. D’altro canto si occupa per disperazione, per assenza di alternative, perché gli alloggi sono vuoti e occupare appare l’unica alternativa alla strada.
Ripristinare la legalità ha costi sociali molto alti: in strada finiscono famiglie, bambini, persone con disagi di varia natura. Spesso gli alloggi recuperati tornano vuoti per anni, perché mancano i fondi per sistemarli e farli tornare nel ciclo delle graduatorie. E allora lo sgombero appare come uso indebito della forza. D’altro canto, negli anni passati molte politiche di riqualificazione dei quartieri popolari hanno subito un freno proprio da parte della componente abusiva, resistente ad ogni cambiamento e miglioramento. Un drammatico rebus senza soluzione.
Infatti, il confine tra diritti negati, sopraffazioni, lotte per la sopravvivenza è labile e ogni soluzione appare iniqua. Le occupazioni abusive hanno talvolta la forma della “guerra tra poveri”, altre volte la forma della sopraffazione di gruppi organizzati su soggetti più deboli (anziani, malati di mente). Talvolta le forme della disperazione e della lotta per la sopravvivenza. Sfruttamento e sopraffazione sono frequenti quando si è disposti a molto pur di avere un posto letto.
Se a questo aggiungiamo che negli ultimi decenni alcuni meccanismi di assegnazione dell’edilizia sociale non proprio trasparenti hanno facilitato una massiccia presenza di “casi sociali”, malati psichiatrici (al solo Calvairate le persone in capo ai servizi sociali sono più di 800), ex detenuti, invalidi, famiglie in stato di forte povertà, in alcuni quartieri più che in altri, comprendiamo l’acuirsi di sofferenza e conflitto.
La soluzione non è a portata di mano. Chiede intervento pubblico e un risveglio della società civile. Come ci sollecita a fare papa Francesco non si tratta di lottare contro la povertà ma di lottare con i poveri perché vengano riconosciuti i loro diritti essenziali. Urge mettere mano con decisione al patrimonio sfitto o affittato in modo irregolare, verso canali di locazione più rispondenti alle necessità dei più deboli. Urge rimettere al centro il soggetto pubblico, in particolare il Comune, come regolatore di un mercato spesso irregolare e speculativo. Urge una riflessione sul ruolo del privato sociale e della cooperazione nel dare risposte pubbliche alle fasce di popolazione più dimenticate. Urge una riflessione sulla necessità di orientare al bene comune l’attività dei soggetti privati e dei piccoli proprietari.