Il grido delle vittime di Gaza per un cessate il fuoco immediato

Il viaggio negli Usa di Netanyahu per chiedere altri aiuti militari incontra l’aperto dissenso di una parte significativa della società civile, tra cui l’associazione Jewish Voice For Peace. La Corte internazionale di giustizia dell’Aja ha ordinato di porre fine alla presenza illegale dei coloni nei Territori palestinesi occupati. La testimonianza dei corpi civili di pace dell’operazione Colomba della Comunità Papa Giovanni XXIII. Il ruolo possibile per l’Italia
Foto: EPA/MICHAEL REYNOLDS

«Lo Stato di Israele ha l’obbligo di porre fine alla sua presenza illegale nei Territori palestinesi occupati il più rapidamente possibile, di cessare immediatamente tutte le nuove attività di insediamento, di evacuare tutti i coloni e di risarcire i danni arrecati». Difficile essere più chiari ed espliciti del parere emesso il 19 luglio 2024 dalla Corte internazionale di giustizia dell’Aja, il principale organo giudiziario delle Nazioni Unite che ha sede nel Palazzo della Pace all’Aja, nei Paesi Bassi.

Non è una decisione vincolante, nel senso che non esistono poteri in grado di renderla effettiva, ma esprime l’affermazione a livello internazionale di un diritto che non può essere ignorato. La Corte ha stabilito che gli Stati membri e le Nazioni Unite hanno l’obbligo di riconoscere l’illegalità dell’occupazione e che l’Onu deve considerare le modalità precise e le ulteriori azioni necessarie per porvi fine il più rapidamente possibile.

Il parere risponde ad una richiesta avanzata a fine 2022 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, prima cioè della tragedia dell’eccidio di Hamas del 7 ottobre 2023. Il parere è arrivato a pochi giorni dal viaggio del premier israeliano Netanyahu negli Usa con il suo intervento abituale al Congresso oltre ai colloqui non solo con il presidente Biden, ma anche con Donald Trump e Kamala Harris, candidati alla Casa Bianca.

EPA/WILL OLIVER

Nel suo intervento al congresso il capo del governo di Israele si è paragonato a Churchill che, nell’ora più buia della Gran Bretagna sotto i bombardamenti tedeschi, si rivolse agli americani chiedendo “più mezzi per finire il lavoro” affermando che «i nostri nemici sono i vostri nemici. La nostra battaglia è la vostra battaglia. E la nostra vittoria sarà la vostra vittoria».

L’ala sinistra dei democratici Usa ha disertato l’aula mentre l’ex speaker alla Camera Nancy Pelosi, ha definito quello di Netanyahu il “peggior discorso” pronunciato da un leader straniero al Congresso Usa.

EPA/MICHAEL REYNOLDS

Il dissenso contro la politica del governo di estrema destra di Tel Aviv è ormai apertamente espresso da settori significativi della società statunitense. Centinaia di attivisti dell’associazione Jewish Voice For Peace, con la maglietta che riporta la scritta “Not in our name” (non in nostro nome), hanno manifestato a Capitol Hill per chiedere lo stop alla consegna di armi a Israele. Non è stata la prima volta di questi gesti di disobbedienza civile nonviolenta, che hanno comportato l’intervento della polizia con l’arresto di oltre 300 persone.

EPA/HAITHAM IMAD

Pur se rimossa dalle notizie principali, la circolazione di notizie, immagini e video relative alla carneficina in corso a Gaza continua a scuotere le coscienze. Anche se vengono contestate, perché di fonte palestinese, le cifre sulle 39 mila morti a causa dell’azione dell’esercito israeliano pesano come un macigno sulla responsabilità dei Paesi alleati di Tel Aviv, in primis Washington, che non riescono a fermare un’azione di rappresaglia sempre più ingiustificabile e controproducente.

Domande che riguardano anche l’Italia per i suoi stretti rapporti con Israele – il presidente israeliano Herzog incontra giovedì 25 luglio la presidente del Consiglio Meloni – e con tutti i Paesi del Medio Oriente.  In questo momento non va sprecato un solo minuto per chiedere senza requie il cessate il fuoco per salvare più vite possibili e fermare ogni possibile fornitura di armi verso i Paesi in guerra. Il mensile Altreconomia, ad esempio, citando i dati dell’Agenzia delle dogane ha evidenziato che, nonostante il blocco decretato dopo il 7 ottobre 2023, tra il dicembre di quell’anno e gennaio 2024 «l’Italia ha continuato ad esportare a Tel Aviv armi e munizioni da guerra per oltre due milioni di euro».

Forti critiche al governo Netanyahu arrivano da dentro la società israeliana dove evidentemente vige la libertà di stampa. Gideon Levy, storica firma del quotidiano israeliano Haaretz, contesta la giustificazione di migliaia di uccisioni di palestinesi con la necessità di colpire i capi di Hamas.

A proposito, poi, della condanna Onu dell’occupazione illegale dei territori palestinesi è significativa la testimonianza che arriva dal corpo civile Operazione Colomba promosso dall’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII° che fa interposizione fisica tra i civili palestinesi e i coloni israeliani.

Anche se non si riscontra una reale volontà politica di promuovere forme di difesa civile nonviolenta, come richiesto da molte associazioni a partire dal Movimento Nonviolento, esistono esperienze attive come l’Operazione Colomba che ogni mese fornisce un report dettagliato per i Paesi dove è presente.

Foto: Operazione Colomba

Quello di giugno ad esempio riporta: «Ad inizio mese i volontari e le volontarie sono stati impegnati con accompagnamenti quotidiani ai pastori palestinesi che subiscono molestie, per esempio con droni usati per spaventare le greggi, o violenze di coloni israeliani che detengono e aggrediscono i pastori».

«Il 3 giugno – continua il rapporto – al villaggio di Khirbet Hala’we (all’interno della c.d. Firing Zone 918) i militari israeliani hanno sparato contro un gregge, distrutto i vetri di una macchina e attaccato una donna di 70 anni, buttandola per terra, ferendola e distruggendole il telefono; prima di allontanarsi, i soldati israeliani hanno minacciato di morte tutte le persone presenti.

Il 6 giugno le forze di occupazione israeliane hanno demolito una casa residenziale nel villaggio di Jawaya e, mentre sgomberavano la casa, hanno picchiato i residenti. Durante questa azione, alcuni militari si sono messi a giocare con i giocattoli dei bambini della casa che stavano demolendo».

La sequenza è puntuale con date e luoghi precisi. Ne riportiamo alcuni rimandando al rapporto integrale. «L’8 giugno sono state demolite sette case nel piccolo villaggio di Rahwa, mentre nei campi vicino al villaggio di Wadi Tiran alcuni coloni israeliani mascherati hanno impedito agli agricoltori palestinesi di continuare il loro lavoro, con minacce e bloccando i mezzi agricoli con le loro automobili». «Il 13 giugno al villaggio di Um Qusah è stata demolita una casa e sequestrate due macchine: la famiglia che la abitava è rimasta senza un tetto per resistere al caldo torrido di questo periodo». «Il 26, nel villaggio di Umm Al-Khair, sono state demolite diverse case, ed è stato arrestato un palestinese».

Testimonianze che obbligano il nostro Paese a fare tutte le pressioni possibili per porre un termine a tali soprusi e a dare sostegno alle iniziative di dialogo esistenti come l’Alleanza per la pace in Medio Oriente composta da associazioni palestinesi ed israeliane. La nostra inerzia finisce per alimentare un conflitto destinato ad aggravarsi fino ad esiti imprevedibili.

Nel frattempo, nel mondo sempre più multipolare, 14 partiti palestinesi, tra cui Hamas e Al Fatah, hanno raggiunto un accordo a Pechino per la gestione futura di Gaza. Tra Doha e Il Cairo continuano le trattative per arrivare ad un accordo di tregua tra Israele e Hamas.

Dall’estremo Oriente al Nord America la Terra Santa appare una scacchiera per le grandi potenze, mentre sale al cielo il grido di tante vittime innocenti.

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