Il Grande Giorno di Marianne

Non c’è disumanità che riesca ad averla vinta sulle ragioni della speranza, della vita e dell’amore così tenacemente radicate nell’uomo. È questa la testimonianza che scaturisce dalla lettura di un piccolo-grande libro edito da Città Aperta: Il Grande Giorno. L’antefatto: il 15 marzo 1939, dopo l’annessione dei Sudeti, Hitler riduce la Boemia- Moravia a protettorato tedesco. Nel novembre del 1942, in una Praga occupata dai nazisti, Marianne Golz- Goldlust viene arrestata dalla Gestapo. Nata a Vienna da famiglia cattolica, la sua colpa è di aver salvato le vite di tanti ebrei, tra cui suo marito, un intellettuale berlinese da lei aiutato a fuggire in Inghilterra. Dalle prime lettere inviate dalla prigione di Pancraz alla sorella Rosi emerge l’ottimismo di una donna di non comune bellezza e intelligenza che, cantante di talento e poi giornalista, fino a quel momento ha avuto tutto dalla vita. All’inizio Marianne sembra convinta di riuscire a salvarsi, ma col passare dei giorni il tono delle sue lettere cambia. Ella si accorge infatti che, a parte l’invio di qualche aiuto materiale, la sorella – timorosa di compromettere il marito, vicino al partito nazionalsocialista – non osa nulla per salvarla. Nonostante il progressivo abbandono e isolamento, Marianne non cede e continua a prodigarsi per le compagne di prigionia, tutte condannate, come lei, alla ghigliottina. Guardiamo la morte dritto negli occhi, ne parliamo come fosse la normalità , avrà modo di scrivere. Elemento nuovo è il carteggio che questa coraggiosa donna riesce a stabilire clandestinamente con un prigioniero più giovane, visto una sola volta di sfuggita: il medico comunista ceco Richard Macha, da lei affettuosamente chiamato Risa. In circostanze così particolari, tra i due, entrambi già sposati, nasce una straordinaria storia d’amore: soltanto un breve sogno tra due esseri sventurati, un sogno che rende più prezioso il tempo che resta loro lo definirà Risa. Sostegno ad entrambi per sopportare i giorni terribili che li attendono, questo legame – così puro da non intaccare la fedeltà al rispettivo coniuge, e così forte da attraversare l’opprimente grigiore del carcere come una lama di luce fra le tenebre – rappresenta la rivincita dello spirito. Toccanti le lettere in cui Marianne descrive gli intensi attimi di felicità sperimentati con Misa, il consumarsi del tempo in attesa della morte e le diverse reazioni delle compagne di sventura: alcune delle quali, vere eroine che hanno sostenuto le meno forti, affrontando la morte con coraggio e dignità. In effetti, da questo epistolario risulta evidente il ruolo umanizzante delle donne in quella caverna degli orrori (parole di Marianne) nei confronti degli uomini, compresi gli stessi carcerieri. Ma non solo di amore e speranza nella vita scrivono i due. In buona parte della loro corrispondenza commentano le vicende politiche e della guerra grazie ai giornali che arrivavano nel carcere. Scrive Risa: Credo che la società faccia torto a sé stessa uccidendo persone nell’età in cui la loro creatività raggiunge il livello più elevato. Così sono gli uomini! Quando si attaccano a qualche ideologia demenziale, ritengono che ogni deviazione a sinistra o a destra sia proibita. (…) Sono convinto che Hitler abbia davvero voluto il meglio per il popolo tedesco, ma il cammino che ha scelto non vi conduce. In primo luogo il popolo tedesco è soltanto uno dei figli della comunità di popoli europei e in nessuna famiglia è consentito ad uno dei figli di divorare tutto e di lasciare gli altri affamati. In secondo luogo, è impossibile dare a un unico popolo il benessere a spese degli altri. Amata e rimpianta da tutti, l’8 ottobre 1943 Marianne affronta il Grande Giorno – ossia quello dell’esecuzione – prima di Risa, che ancora per qualche tempo serberà il ricordo di lei nel recesso più sacro del cuore. Questa straziante ma nobile vicenda ci è oggi nota grazie alle ricerche che l’artista ebreo Ronnie Golz, figlio di seconde nozze del marito di Marianne, mise in atto per ritrovare le proprie radici e ricostruire la storia della famiglia d’origine, come lui stesso narra nella Introduzione a Il Grande Giorno. Nel 1988 in onore di Marianne Golz-Goldlust è stato piantato un ulivo nei pressi del museo di Yad Vashem sulle colline di Gerusalemme, accanto a tanti altri che ricordano uomini e donne giusti. E il giusto, secondo il Talmud, è colui che salvando una vita salva il mondo intero. FELICITÀ TRA LE SBARRE Marianne a Risa (27 settembre 1943). La tua lettera mi ha reso felice. L’ho letta quattro volte e ogni volta sono arrossita, perlomeno questo è quello che mi hanno detto. (…) Sono poche le persone che hanno la fortuna di essere così vicine alla morte come noi. Oggi sono rimasta seduta senza pensare a nulla. Ero così allegra che non mi rendevo neppure conto se ero seduta o se mi libravo nell’aria. (…) Ora mi rendo conto di avere solo tre desideri: la fine della guerra, un tuo bacio e poi la morte. Sono troppo debole per continuare a vivere. Risa a Marianne (6 ottobre 1943). Le tue lettere hanno risuscitato in me pensieri che credevo morti da tempo, soprattutto in prigione. Da quel momento ho ricominciato ad amare la vita. È stato per me un sogno lungo e bello. Mi ha ridato forza d’animo e ha alleggerito il cammino verso l’ignoto. Te lo devo. La forza che tu, straniera, mi hai comunicato mi era indispensabile per sopravvivere. Quando leggevo le tue lettere e rispondevo, riuscivo a dimenticare di essere in carcere in attesa della morte. In quegli istanti le sbarre non esistevano più e non c’erano chiavistelli alla porta. I miei pensieri volavano liberi. Si dispiegavano in un grande spazio di felicità.

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