Il grande comunicatore
Gesù era un grande comunicatore: Mai un uomo ha parlato come lui…, II popolo pendeva dalle sue parole… ammettevano i contemporanei. E soffermiamoci un attimo sulla sua ultima esperienza personale. Gesù terminò l’esistenza terrena ucciso nella maniera più ignominiosa possibile allora (la crocifissione, riservata agli schiavi), un supplizio che, inoltre, significava separazione dalla comunità, rifiuto, cancellazione dell’appartenenza del condannato al contesto sociale e religioso. Il grande comunicatore, che aveva affascinato le folle, si trova ora solo, tradito, ignorato: Non conosco quell’uomo… dice di lui il discepolo più autorevole. Ma non basta.Anche Dio-Padre, di cui diceva di conoscere ogni segreto e il cui rapporto l’aveva sempre sorretto, pare interrompere ogni comunicazione con lui; ed è questo abbandono certamente la notte più oscura, l’agonia più straziante; e grida: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? . Il suo grido, che riassume il nulla di tutte le cose, ha da sempre percorso la storia dell’uomo. Possiamo citarne due icone sicuramente presenti al nostro immaginario: chi non ricorda l’angoscia de Il grido del pittore norvegese Edvard Munch, simbolo della solitudine dell’uomo senza rapporti? o il terrore della piccola vietnamita Kim Phuc, colta dallo scatto casuale del reporter mentre avvolta dalle fiamme del napalm fugge urlando dalla sua terra bruciata, immagine di una umanità bambina senza più radici? Segni atroci che riconducono al baratro dell’abbandono di Cristo-Parola che grida verso il silenzio, verso l’assenza di Dio. Gesù crocifisso e abbandonato, mediatore (medium) tra l’umanità e Dio, che, caduto l’ultimo diaframma, a unità raggiunta, scompare, si fa nulla, è un mistero terribile che affascina. È un vuoto infinito, quasi pupilla dell’occhio di Dio, finestra attraverso la quale Dio può guardare all’umanità e l’umanità in certo modo vedere Dio. Egli aveva parlato e agito, aveva insegnato per tre anni, e quelle sue parole, dette per sempre, erano già e lo saranno in eterno, via, verità e vita. Però la fede ci insegna che il suo essere sé stesso ha attinto il culmine proprio nel momento della massima donazione, quando offrì la sua vita nel modo sopraddetto. Allora, possiamo chiederci, il suo grido dell’ora nona è l’espressione massima del suo essere Parola? È, per così dire, il vertice della comunicazione? Sì. È in questo suo annientarsi nell’abisso dell’individualità, dove ogni relazione è morta, che egli ci fa dono della sua realtà di persona capace di incontrare Dio e le altre creature. Proprio in questo darsi senza limiti egli si rivela Parola che comunica infinitamente sé stesso e ci introduce nel mistero della redenzione e della vita di Dio, nel vortice dell’Amore tra il Padre, il Figlio e lo Spirito. Se ogni relazione umana riflette e ha a suo modello le relazioni trinitarie, può forse la comunicazione, relazione umana per antonomasia, sfuggire a questa dinamica, a questa legge inscritta nel suo Dna?