Il gran rifiuto di Sonia

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Giorni pieni di colpi di scena quelli che l’India sta vivendo: momenti che hanno confermato la capacità auto-rigenerante di un mondo dalle mille sfaccettature che, in politica, a ragione ama definirsi la più grande democrazia del mondo. La sconfitta della coalizione di governo è arrivata inattesa. Il partito di maggioranza – il Bharatya Janata Party (Bjp) – solo alcuni mesi fa sembrava avviato ad essere l’invincibile armata. Ma andiamo con ordine. Il complesso panorama politico da una decina d’anni si è progressivamente polarizzato attorno ai due partiti che hanno fatto la storia del paese dall’indipendenza in poi: il Congresso, che ha governato in regime praticamente di monopolio fino agli anni Ottanta, ed appunto il Bjp, che ha registrato dagli anni Novanta una ascesa irresistibile, cavalcando la tigre dell’Hindutva, l’India agli indù, in un paese dove i seguaci di questa religione o cultura sono ancora quasi l’80 per cento. Gli ultimi cinque anni di governo della megacoalizione guidata dal Bjp non erano stati facili, ma il partito pareva esserne uscito a pieni voti. Parevano dimostrarlo due fatti. Nello stato del Gujarat, nonostante la carneficina del febbraio 2002 fra indù e mussulmani, apertamente appoggiata dai politici del Bjp al potere, il partito aveva poi stravinto le elezioni locali, gettando nello sgomento minoranze mussulmane e cristiane, che si trovavano di fronte lo spettro dell’impotenza davanti allo strapotere dei fondamentalisti al governo. Un secondo fatto erano state le elezioni locali in alcuni importanti stati del centro-nord. Svoltesi nel novembre del 2003, avevano anch’esse fatto registrare un trionfo del partito di maggioranza, grazie anche a candidate, presentate o come novelle devi (divinità femminili) o, comunque, come donne capaci di salvaguardare l’identità della donna indiana. Dalla parte opposta, c’era un partito del Congresso che, arenato nelle secche di un apparato ormai logoro, senza nuovi leader ed affidato ad una donna, Sonia, indiana solo di passaporto, nuora di una grande leader, Indira, morta vent’anni fa, e vedova di un uomo, Rajiv, gettato nell’arena dalla madre, senza essere mai stato un politico, e morto comunque martire. Il Congresso non pareva avere una linea politica precisa, brancolava nel buio in diversi stati, ormai chiaramente appannaggio di partiti della coalizione di governo ed avviati, come l’Andra Pradesh, ad un boom economico e cibernetico che pareva aver passato il punto di non ritorno. Niente di meglio quindi che sciogliere le camere ed indire elezioni anticipate: questa la mossa a sorpresa del Bjp. La campagna elettorale è stata una lotta senza quartiere, ma si è giocata soprattutto, e questo il partito di maggioranza lo aveva sottovalutato, su elementi che si pensava fossero superati nella corsa allo sviluppo dell’India, capitale del software mondiale e sede ambita e privilegiata dell’outsourcing. Lontano dai grandi cartelloni pubblicitari della India shining (India splendente) che tappezzavano le grandi metropoli, avviate ad un boom economico senza precedenti, la gente delle campagne doveva fare i conti invece con bijli, pani e sadhak (luce, acqua e strade): il trinomio che ha fatto la differenza. Il Bjp, che aveva dimostrato grande acume nelle precedenti campagne elettorali, riuscendo a cogliere le esigenze più profonde dell’elettorato, ha dato tutto per scontato, riducendo i suoi proclami al pericolo di un primo ministro italiano, addirittura di un ritorno all’Impero romano. Il verdetto è giunto inatteso e inequivocabile. Molti osservatori hanno fatto notare come si sia trattato non tanto di una vittoria del Congresso, ma piuttosto di una sconfitta del partito al governo, che ha pagato i conti in sospeso. Ma la grande vittoria del Congresso è venuta proprio in fase di consultazione per la formazione del nuovo governo. I giochi sembravano ormai fatti. Da una parte, Sonia Gandhi, eletta all’unanimità da tutti i partiti della potenziale coalizione, come leader della maggioranza e quindi designata da tutti come primo ministro. Dall’altra il Bjp ed i partiti sconfitti, che hanno cominciato a gridare allo scandalo di una straniera capo di gabinetto. Due posizioni chiaramente inconciliabili, che prospettavano un quinquennio di vita politica pieno di incognite e tensioni. La mossa a sorpresa di Sonia, se da un lato ha gettato nello sgomento i fedelissimi del Congresso, che avrebbero voluto una Gandhi sulla poltrona più alta, dall’altro ha sancito la sconfitta definitiva del Bharatya Janata Party. Sonia ha infatti agito come una perfetta seguace del sanathana dharma, la fede indù, che non vieta l’azione ed il piacere, ma che chiede il distacco sia dall’uno che dagli altri, grazie alla rinuncia. Annunciando il gran rifiuto in nome di quella voce interiore che Sonia dice di aver seguito per entrare in politica e guidare il Congresso in questi anni, si è proposta come un vero modello di karmayogi, di vita e di azione morale, secondo il codice indù, sconfiggendo in casa il Bjp, paladino dell’identità millenaria di questa cultura. Manmohan Singh, premier designato, che si trova ora a dover formare il nuovo governo, oltre alla sua fama di irreprensibile studioso e tecnocrate, padre della riforma economica Indiana, avrà dalla sua l’immagine di questa donna la cui statura morale nessuno potrà più discutere. In un’arena, come quella della politica, dove il potere è quasi sempre fine assoluto e giustifica tutto, il pensiero di molti è tornato ad un altro gran rifiuto della storia dell’India. Erano altri tempi, il 1947, e non si possono, certo, fare paragoni improponibili, ma è bello ricordare che il protagonista portava lo stesso nome: si chiamava Gandhi. Tutti lo consideravano il Mahatama, la grande anima.

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