Il governo del Cile promuove la deroga della legge di amnistia

La norma impediva di giudicare i delitti di lesa umanità commessi tra il 1973 e il 1978, durante la dittatura militare di Augusto Pinochet. L'iniziativa mette fine a una intollerabile impunità
Pinochet

Dopo l'Argentina anche il Cile si appresta ad annullare la legge di amnistia promulgata durante la dittatura di Augusto Pinochet. La normativa ha impedito in questi anni di giudicare circa 500 persone, accusate di delitti di lesa umanità commessi tra il 1973 (l'anno del colpo di Stato) e il 1978, gli anni più cruenti durante i quali migliaia di persone soffrirono torture, esecuzioni sommarie e la violazione di diritti fondamentali.

L'annuncio del governo della presidente Michelle Bachelet è avvenuto l’11 settembre, precisamente in occasione del 41mo anniversario dell'inizio della dittatura. Oltre alle organizzazioni di difesa dei diritti umani, anche l’Onu aveva richiesto la cancellazione di questa normativa.

L'esecutivo chiederà la procedura di urgenza per analizzare in Parlamento il progetto di legge presentato da un gruppo di cinque senatori della maggioranza fin dal 2006. Sebbene sia prevedibile l'opposizione di settori di destra, è estremamente probabile l'approvazione del progetto.

All'indomani del ritorno della democrazia nel Paese, vari tribunali procedettero a giudicare i crimini di lesa umanità, in considerazione del fatto che si tratta di delitti che non cadono in prescrizione. Non fu però possibile giungere ad una sentenza, proprio per lo scoglio dell'amnistia applicata da Pinochet. Il progetto promosso dal governo avrà effetti retroattivi, pertanto si stima che vari processi potranno riattivarsi una volta annullata la norma in questione.

Il fatto che non siano state emesse sentenze, fa sì che il caso cileno si distingua da quello argentino in quanto alla discussione sul piano giuridico. L'amnistia e l'indulto annullati in Argentina si riferivano a cose già giudicate, durante lo storico processo contro le giunte militari realizzato dopo la fine della dittatura (1983). La riapertura di nuovi processi, secondo alcuni giuristi, violava il principio della non retroattività della norma penale e quello del non bis in idem, la proibizione di giudicare penalmente due volte lo stesso fatto.

L'impunità di cui in vari Paesi hanno goduto gli autori di crimini gravissimi, come la sparizione forzata (i desaparecidos in tutta l'America Latina sono varie decine di migliaia), la tortura, le esecuzioni sommarie, la persecuzione politica costituiscono, anche dopo decenni, una ferita aperta, dolorosa e difficile da cicatrizzare. Per varie organizzazioni di diritti umani, per le famiglie delle vittime si trattava di un vero affronto.

Sul piatto della bilancia giocano da un lato la necessità di superare conflitti che hanno provocato divisioni e steccati che feriscono la convivenza civile; dall'altro pare difficile avanzare lungo il cammino della riconciliazione senza ricorrere alla giustizia e alla verità. Probabilmente non esiste una via unica per giungere a una soluzione del dilemma. In Uruguay la società ha preferito rinunciare alla "pretesa punitiva dello Stato", come ha stabilito a suo tempo un referendum. In Sudafrica i processi si sono conclusi con una ammissione di colpa, ma senza l'applicazione di sanzioni penali. La Colombia dovrà ricorrere alla creatività giuridica per conciliare la pace, alla quale pare stia per accedere, con la giustizia reclamata da migliaia di vittime. Argentina e Cile percorrono una strada diversa.

L'accento che in questi anni si è messo sui diritti umani, l'esistenza di tribunali internazionali, ha il pregio di mettere in chiaro che sarà sempre più difficile restare impuniti una volta commessi crimini gravissimi. Quel nunca mas (mai più), pronunciato spesso come un programma, sta prendendo forma.

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