Il Giubileo al tempo dell’Isis
Suor Mary, a seguito di un cardinale di santa romana Chiesa non pensava certo che metal detector e perquisizioni sarebbero toccati pure a lei, prima di accedere alla basilica per la vigilia di Natale. Nessuno riesce a superare il colonnato di san Pietro senza essere stato opportunamente radiografato e neppure il presepe è più ad accesso libero: in piazza si entra dopo ore di fila e controlli estenuanti soprattutto per anziani, famiglie e per i numerosi turisti che nonostante i ripetuti allarmi dell’Isis su possibili attentati in Vaticano, non hanno annullato le loro vacanze nella capitale. Superati i varchi equivale al raggiungimento di un traguardo, peccato poi che i posti in basilica siano stati ulteriormente ridotti e papa Francesco può essere seguito solo sul maxi schermo.
Impensabile poi partecipare ad una messa nelle basiliche romane, arrivando trenta minuti prima dell’inizio. Anche qui un’ora di fila e di controlli per varcare non solo la Porta santa ma qualsiasi accesso. Non tutti accolgono di buon grado la novità e c’è chi spazientito dai controlli si dirige verso parrocchie minori dove invece la normalità di accesso è ancora garantita. In coda però si fanno amicizie e soprattutto si commentano gli oggetti depositati ai piedi del metaldetector: dal termos con caffè, al barattolo di maionese, ad una riproduzione del Colosseo di dimensioni notevoli, ad un servizio di posate completo per una famiglia con quattro pargoli. I gesti gentili dei volontari del giubileo provano a rendere meno impersonali le ispezioni e ricordano a tutti, che prima che monumenti, questi sono luoghi di preghiera e di celebrazioni. Il disagio però resta perché sottrae, anche se con garbo, spazi di autonomia e libertà. Anche il povero con cui si era costruita una certa amicizia è stato allontanato dai gradini e dai cancelli. Il Giubileo ha anche questi retroscena.
Poi ci sono i luoghi classici di ritrovo. Piazza Farnese, quasi deserta durante le festività e con i soffitti dell’ambasciata francese, ammirati a notevole distanza perché i mitra spianati, allarmano più che rassicurare, nonostante l’aria rilassata di chi li imbraccia. E anche a Campo de’ Fiori si cammina a distanza da camionette e gruppi di militari.
Il quotidiano convivere anche agli ingressi metro o sui binari con le divise mimetiche verde-marrone trasmette un senso di allarme e di guerra non guerreggiata, anche se i commenti su queste presenze si sprecano. “Come fanno a controllare tutte le valigie di chi approda alla stazione Termini?”; “E’ giusto fermare continuamente ragazzi di colore solo perché presunti islamisti?”; “Limitare la libertà di accesso a monumenti e chiese garantisce da attacchi imprevisti?”. Certo chi presiede alla sicurezza in città, non può certo derogare ai compiti e alle prescrizioni, ma per noi cittadini l’aria è cambiata.
Le costanti minacce di vessilli neri sul Cupolone, la sensazione di pericolo ricorrente accresce la diffidenza e induce a ripensare anche il diritto alla libera mobilità, al libero trasporto di oggetti o souvenir, agli appuntamenti amichevoli in luoghi considerati a rischio. Prima che la paura fuori è la paura dentro che ci sta rendendo schiavi proprio di chi si arroga invece la libertà di non volerci più liberi. “Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola” dichiarava, in tempi altrettanto duri, Paolo Borsellino consapevole che farsi sopraffare dal timore chiude le strade al coraggio e all’impegno, quello più che mai necessario nel costruire una nuova stagione di pace.