Il ginepraio di Istanbul
Gli ingredienti dell’impasto mediorientale ci sono tutti, nessuno escluso, nella bomba scoppiata ieri ai piedi dell’Obelisco di Teodosio.
C’è una Turchia che sotto la guida di Erdogan sta diventando sempre più autoritaria, con spaccature interne tra esecutivo e militari e con i grandi equivoci riguardanti Daesh (appoggio e affari nascosti ma non più sostenibili dopo le denunce della Russia), curdi (la presunta offensiva contro l’Isis in realtà è stata una repressione in grande stile contro i curdi), Nato ("ne faccio parte ma nel contempo ho la mia politica") ed Europa ("m’ama non m’ama").
Non manca una Germania che paga con otto morti (gli altri due sembrano essere un peruviano e un non identificato turista straniero) la sua esposizione nel campo delle migrazioni, ma anche dell’aver concesso alcuni Tornado di ricognizione, su pressioni della Francia dopo il 13 novembre, per il territorio siriano e iracheno.
C'è il Daesh che pare finalmente accerchiato più economicamente che militarmente (era ora) e reagisce con rabbia cieca, inviando i suoi kamikaze in luoghi-simbolo del nemico, anzi dei nemici. Il Califfo sembra non rispettare più il Sultano, anche perché alcuni traffici lucrosi tra le due entità politiche sono stati interrotti.
Come dimenticare la Siria, presente nella nazionalità del kamikaze, luogo di ogni battaglia e di ogni distruzione? Ma c’è pure l’Arabia Saudita, che avrebbe dato i natali all’attentatore.
E poi, sullo sfondo, esistono le accuse di Erdogan contro il sistema mediatico manipolato, contro la finanza internazionale che complotterebbe contro la Turchia e contro quell’Iran sciita (via Hezbollah) che sostiene militarmente Assad e che è impegnato nell’altra grande guerra contro i sunniti capeggiati dall’Arabia Saudita.
In un tale contesto è difficile distribuire colpe e ragioni dell’attacco kamikaze di Istanbul. E sempre di più appare evidente come l’intervento della comunità internazionale debba essere politico, economico e diplomatico più che militare.
Una bomba in più non farebbe in effetti che complicare ulteriormente il quadro mediorientale.