Il futuro di Roma nelle urne

La sfida nella Capitale mette in campo i problemi irrisolti della metropoli. Tra Virginia Raggi e Roberto Giachetti si gioca una partita aperta tra vincoli di bilancio e nuove appartenenze
Raggi e Giachetti

La campagna elettorale per il sindaco di Roma non ha interrotto le sessioni del processo di Mafia Capitale. La cronaca sembra averlo messo da parte, eppure continua a segnare, in profondità, lo smarrimento di una città che non è più la stessa dopo i numerosi scandali che hanno contrassegnato la sua storia recente. Sono emerse tante contraddizioni, covate da tempo, che attendono il nuovo inquilino del Campidoglio chiamato ad affrontare il malcontento diffuso delle tante città racchiuse nella metropoli capitolina.

 

Nella notte di domenica 19 giugno si saprà il nome del vincitore del ballottaggio che è sempre come una partita di calcio che comincia dallo zero a zero, nonostante i 10 punti di vantaggio che separano i due candidati al primo turno. Secondo l’istituto Cattaneo, l’affluenza alle urne dovrebbe attestarsi al 45% degli iscritti elettorali e quindi, oltre a coloro che sono già convinti e militanti, esiste tutta l’area dell’astensione e delle liste escluse dalla competizione che restano un rebus destinato a sciogliersi nelle ultime ore, come sanno bene gli esperti. 

                                                                                                          

Il voto riguarderà anche i presidenti dei popolosi municipi che restano uno dei problemi gestionali della Capitale perché sono dei grandi centri urbani senza grande autonomia amministrativa, a differenza, invece, di altre grandi città europee. Esclusa l’ex circoscrizione di Ostia, dove non si è votato per il municipio commissariato per infiltrazioni mafiose, il Movimento 5 Stelle conferma il suo vantaggio in 12 municipi su 14. La sfida lo vedrà sempre contrapposto al Pd, tranne che nella circoscrizione della emblematica periferia di Tor Bella Monaca, dove si troverà di fronte il candidato della destra di Fratelli D’Italia. Una nuova geografia dei consensi vede, invece, in vantaggio il Partito democratico nei due municipi centrali e benestanti della città: il primo e secondo, cioè centro storico, Prati, Parioli e Salario-Trieste.

 

NODO OLIMPIADI  

Come abbiamo anticipato nella descrizione della città ferita avviata al voto, la questione della candidatura alle Olimpiadi 2024 occupa largo spazio nel dibattito. Nessuno è contro lo sport e il messaggio positivo che l’evento olimpico rappresenta. I radicali romani hanno proposto, da tempo, di fare un referendum, perché, come spiegano in un loro dossier, l’insieme delle opere, da appaltare fin da subito, rappresenterebbe un costo insostenibile e fuori controllo, citando tanti esempi disastrosi, non solo quello di Atene. Monti decise di non presentare la candidatura per l’evento del 2020.

 

Il comitato per Roma 2024 vede in prima fila il presidente del Coni Giovanni Malagò, storico rappresentante del ceto dirigente della Capitale, che sostiene, invece, il progetto come occasione di sviluppo per tutto il territorio. Paradossalmente i radicali supportano l’elezione di Roberto Giachetti (Pd), cresciuto politicamente nella loro area, favorevole al progetto di Malagò anche in vista della creazione di nuovi posti di lavoro, mentre Virginia Raggi (M5S), nell’ultimo confronto diretto su una tv privata, ha detto che indirebbe lei, da sindaco, il referendum. Ad ogni modo tra i nomi degli assessori annunciati della possibile giunta pentastellata spicca quello di un urbanista “critico” come Paolo Berdini, preso immediatamente di mira dal quotidiano Il Messaggero, la stessa testata che ha dato grande risalto alla dichiarazione di Francesco Totti, favorevole alle opere delle Olimpiadi e al nuovo stadio della sua società calcistica.

 

Siamo davanti a una questione scivolosa che rischia di far perdere o guadagnare molti voti per simpatie viscerali, estranee al merito dei problemi, ma permette di affrontare una questione rimossa che l’ex assessore all’urbanistica Giovanni Caudo ha posto in maniera diretta: «Si può governare Roma senza Caltagirone?». Il riferimento è all’imprenditore proprietario della storica testata giornalistica, al vertice di un grande gruppo delle costruzioni e interessato a tanti dossier aperti come il controllo di  aziende municipalizzate come l’Acea (gestione idrica e luce) che agiscono e hanno fatturati da multinazionale. Secondo Caudo, il progetto che si delinea per Olimpiadi 2024 è sostanzialmente diverso da quello accettato dalla precedente giunta Marino perché incentrato sullo sviluppo di alcune aree come quelle di Tor Vergata che farebbero l’interesse di pochi, come è già avvenuto in troppe scelte urbanistiche recenti come l’area cosiddetta Porta di Roma. La questione resta aperta e meriterebbe un dialogo informato tra la popolazione che, a prescindere dai poteri in gioco, sembra divisa a metà tra contrari e favorevoli.

 

IL PESO DEL MALAFFARE

Nel dibattito sempre più acceso emerge la preoccupazione per una corruzione diffusa dentro i gangli di un'amministrazione complessa dove può trovare spazio il malaffare. Il “fondo limaccioso” della città, descritto da alcuni scrittori e cineasti, ha raggiunto livelli preoccupanti. Commentando una recente sentenza d’appello che non riconosce la caratteristica di associazione mafiosa ai clan malavitosi Fasciani e Triassi di Ostia, l’associazione Libera ha fatto presente che «torneranno presto in libertà i componenti di un clan pericoloso che ha segnato, con la sua violenza, col suo potere economico, la vita di quel territorio e l'operato degli uffici del Municipio della Capitale».

 

La crescita di un debito pubblico gigantesco, l’incuria dei beni comuni, lo stato comatoso delle aziende dei trasporti, sono alcuni dei problemi più eclatanti di un disagio di quella città che fino a qualche anno addietro si voleva porre come “modello”.

Sulla spinta a uscire da questa rappresentazione di Roma, che ha anche fatto il giro della stampa internazionale, si giocherà molto del voto al ballottaggio.

Resta il nodo delle risorse possibili per affrontare anche l’ordinaria amministrazione. L’idea di rinegoziare l’interesse del debito con Cassa Depositi e Prestiti sembra comune ai due candidati, secondo la logica del buon padre di famiglia, per poter abbassare le imposte locali più alte d’Italia e offrire maggiori servizi alle fasce deboli. Nel metodo la Raggi si ripropone di promuovere un audit pubblico preventivo, cioè la ricostruzione dell’origine e cause del debito.

 

NUOVE APPARTENENZE

Sulla questione rifiuti, come è noto il M5S è contrario ai termovalorizzatori (o inceneritori secondo una diversa descrizione) e anche il Pd si è detto favorevole a incentivare la riduzione, il riuso e il riciclo dei rifiuti. La questione rappresenta un capitolo a parte in una città che ha avuto la più grande discarica d’Europa, a Malagrotta, ancora da bonificare, ma arranca sulla raccolta differenziata senza aver risolto la chiusura del ciclo dei rifiuti che sono inviati fuori città. I notevoli costi di gestione possono sempre indurre a dover utilizzare gli impianti di termovalorizzazione già autorizzati dalla Regione che tuttavia si è impegnata a non aprirne di nuovi.     

 

Stranamente nel dibattito pubblico non si sono visti in competizione i tassisti della Capitale, capaci di paralizzare con le proteste il traffico cittadino e grandi sponsor a suo tempo dell’elezione inaspettata di Alemanno. Il tema della mobilità ha visto mettere in campo, da entrambi i due candidati, soluzioni evolute di smart city che vanno esaminate nel dettaglio.

 

A ogni modo, nonostante l’analisi dei programmi di Raggi e Giachetti, una quota significativa del voto sarà ancora determinata dall'appartenenza politica messa a dura prova dai nuovi scenari. Il M5S, cresciuto fortemente nei consensi, si definisce un movimento di cittadini e rifiuta di essere catalogato nelle categorie destra/sinistra, attraendo così voti dalle diverse aree pur non fugando dubbi di identità. Il Pd locale, ancora commissariato dal nazionale, è riuscito, grazie anche alla divisione del centrodestra, a stare in piedi cercando di assumere un volto civico (tutti i nomi degli assessori sono già noti) raccogliendo l’elettorato “fedele alla ditta” come dice Bersani. Ma i dubbi sulla sua reale identità si avvertono anche da questa parte.

 

Nella “città eterna”, infine, al tempo di Francesco, sembra non si sia avvertita nessuna indicazione di voto e pressione da parte del cosiddetto mondo cattolico, o meglio dalle gerarchie ecclesiali. Il tessuto sociale è, invece, ricco di tante risorse che arrivano dalle parrocchie, associazioni e movimenti.

 

Il direttore della Caritas, don Enrico Feroci, aveva detto, all’inizio della campagna elettorale, che i programmi si giudicano a partire dall’attenzione dedicata ai poveri e agli esclusi. Una categoria che, anche quando cresce, non riesce ad avere voce e maggioranza politica.     

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