Il futuro di Hong Kong e di Occupy

Si placano le proteste nella ex-colonia britannica. Gli interrogativi sul futuro della manifestazioni permangono. Le ragioni degli studenti e degli altri cittadini, mentre si sta decidendo quali sono i progetti del movimento
Una della manifestazioni di Occupy Hong Kong

Martin Jacques sul The Guardian ha scritto recentemente, riguardo a Hong Kong: «La Cina è il futuro di Hong Kong». Era il 30 settembre. Un’affermazione forte che resta una chiave di spiegazione di questi ultimi due mesi di proteste. In queste ore, o forse giorni, si concluderà l’assedio al distretto più importante della citta, l’ Admiralty, uno dei più belli e ricchi della città per la sua centralità, per i negozi e gli uffici governativi. La gente di Hong Kong, la maggioranza dei cittadini, pare stanca della protesta, come sono stanchi i manifestanti e sinceramente, come lo stesso Martin Jacques ed altri sinologi occidentali commentano, «il caso non regge». Cioè non tiene la protesta che, pur avendo nobili fini ed essendo espressione di un anelito sincero alla libertà, appare qua e là assurda per chi conosce un po’ la storia della Cina.

Qualche giorno fa parlavo con un professore universitario politologo, un italiano, il quale mi tempestava di giudizi sulla situazione di Hong Kong, sulla mancanza di libertà nella città e dell’indubbio carattere positivo del movimento giovanile che manifestava nelle strade, bloccando il traffico di milioni di persone. Dopo averlo ascoltato, rendendomi conto che forse non conosceva qualche risvolto storico della vicenda di Hong Kong, mi sono permesso di chiedergli: «Scusi professore, riguardo alla guerra dell’oppio del 1839 non ricordo se erano gli inglesi a voler costringere il popolo cinese a consumare l’oppio o viceversa: non furono gli inglesi a imporre il consumo della droga al popoplo cinese?». «I cinesi, certo», mi ha risposto immediatamente. «Mi spiace – ho ribattuto – ma penso proprio che non ci sia nulla di più errato. E durante i 150 anni di governarato inglese ad Hong Kong, che fu strappata con la forza per motivi commerciali ed imperilisti, sono sempre stati gli inglesi che hanno gestito completamente la politica nella colonia, mentre i cittadini cinesi non avevano mai avuto nessuna voce in capitolo».

Naturalmente ho subito cambiato discorso per non mettere in imbarazzo il mio interlocutore. Una cosa è certa: in Occidente ci mancano alcuni dati essenziali per capire la Cina e Hong Kong. La divisione tra buoni e cattivi, eredità della guerra fredda, ormai si va affievolendo. Ed è per questo che mi sembra necessario anche questa volta andare a fondo delle questioni politiche internazionali, per capire le varie situazioni di conflitto in giro per il mondo, questa volta Hong Kong.

La polizia di Hong Kong in questi mesi ha nei fatti dimostrato una certa pazienza e un equilibrio non usuali con i dimostranti, molti dei quali minorenni. Ci sono testimonianze e prove documentate sul fatto che i manifestanti hanno addirittura chiesto e ottenuto di controllare i camion delle forze dell’ordine per paura che contenessero armi per un imminente attacco, durante le prime settimane di protesta. Nessuna arma e’ stata trovata.

Un gioco di pazienza che va avanti da settembre e che trova contraria, va detto, la maggioranza della popolazione della città asiatica. Come hanno affermato Jackie Chan (attore amatissimo in Asia) e il musicista Kenny G: «Non ci sembra democratico che un piccolo numero di giovani cittadini determinino la vita di tutta una metropoli, che non si è unita e non unirà mai a loro». Qualche giornale occidentale ha parlato di violenze e arresti di massa, una tesi che non ha trovato nessun riscontro. Paradossalmente sono stati molto più muscolosi gli interventi della polizia newyorkese con i 7 mila arresti operati cpntro Occupy Wall Street…

In queste ore si sta decidendo la sorte del movimento: ormai anche i professori hanno abbandonato Occupy Central. Per Alex Chow, capo della “federation of students” e per il suo compagno Joshua Wong non rimangono molte possibilità se non trovare una via d’uscita che consenta di salvare la faccia al movimento, continuando a portare avanti le loro richieste in modo più consono alla cultura cinese, in un dialogo costruttivo: una soluzione auspicata dalla maggioranza della popolazione. Val la pena di ricordare un proverbio cinese: «Sotto il cielo, un’unica famiglia». A Hong Kong non ci sono stati vincitori e vinti, buoni e cattivi, tiranni e sudditi. Un tale principio sociale e politico, espressione del confucianesimo ma non solo, credo che possa aiutare a capire meglio la Cina.

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