Il futuro del sistema bancario italiano

La decisione imposta per legge sul governo delle maggiori banche popolari ridisegna l’intero sistema del credito. I dubbi e le accuse di cedimento alle lobby finanziarie nell’intervista a Giacinto Palladino, consigliere di amministrazione di Banca popolare etica
banca popolare

Con un voto di fiducia in Parlamento, a fine marzo, è passata la riforma delle banche popolari voluta con grande determinazione dal governo di Matteo Renzi. Il decreto impone la trasformazione in Spa delle nove maggiori, con attivo superiore a 8 miliardi di euro, e il superamento del voto capitario in assemblea (ogni socio vale un voto a prescindere dal capitale posseduto).

Soddisfazione sui maggiori organi di stampa ma qualche dissenso è arrivato da un giornalista esperto come Massimo Mucchetti, ora presidente Pd della commissione industria del Senato: «Cancellando il voto capitario, lo dobbiamo sapere, mettiamo in vendita le popolari maggiori e i compratori saranno esteri. Immaginare fusioni tra popolari e tra alcune di queste e Spa malandate non servirà a conservare in mani italiane questo settore cruciale del credito che costituisce uno dei pilastri della sovranità nazionale».

A bocce ferme, mentre è cominciato il grande risiko bancario, chiediamo il parere di Giacinto Palladino, consigliere di amministrazione di Banca etica

Nonostante gli appelli di ogni genere pubblicati sul quotidiano Avvenire, il governo ha tirato dritto sulla questione delle banche popolari (“roba da vecchi democristiani” ha detto Renzi) contando sul sostegno dell'Abi, della Banca d'Italia e della stampa dominante come Corsera e Repubblica. Come si legge questa scelta nel contesto finanziario italiano?

«Le banche italiane sono afflitte da mali antichi, non affrontati. I provvedimenti della Vigilanza o del Governo non corrispondono ad una effettiva assunzione di responsabilità. Si ricorre all’amputazione per curare una slogatura. Gli stress test avevano evidenziato la debolezza di due Spa, Mps e Banca Marche, mentre le banche popolari avevano superato l’esame, alcune di queste con tanto di applausi.

«Non esistono motivazioni oggettive che imponessero la trasformazione in Spa delle Popolari al superamento di 8 miliardi di attivo. Esistono esperienze bancarie cooperative e popolari con attivi che sfiorano i 250 miliardi, esperienze solide che restituiscono al territorio un grande valore aggiunto.

«La manovra italiana è equivalsa a un golpe, assente il Presidente della Repubblica, senza che ci si assumesse la responsabilità di dire esattamente cosa non andasse: quella delle banche è una lobby che si tiene insieme grazie a un blocco imponente di interessi, spesso correlati, che interferiscono con la mission costituzionale di “tutela del risparmio” e di “finanziamento a famiglie e imprese”».

Eppure, non erano emersi dei casi dubbi?

«Alcune banche erano in difficoltà, come ad esempio la Popolare dell’ Etruria e del Lazio che, a pochi metri da un possibile fallimento, aveva già deciso di trasformarsi in Spa. La propensione a “far finanza” anziché credito, indotta dalla italica sudditanza al modello capitalista anglosassone ha imposto il ritorno alla banca universale e schiacciato la banca commerciale. Le nostre banche sono come le nostre imprese: fanno fatica ad aggregarsi, tanto tra le Spa che tra le Popolari; questo in uno scenario economico a forte finanziarizzazione non favorisce le indispensabili economie di scala. Il top management difende, quale casta, le proprie retribuzioni iperboliche, elargisce consulenze e disperde il know how interno.

«La soluzione adottata risponde a ipocrisia. Si tace sul fatto che sia stata la Vigilanza – preoccupata dell’incapacità del sistema bancario di autoripararsi e dell’incapacità della politica di scontrarsi con le lobby di ogni tipo – a dettare il testo al governo che, dal canto suo, ha voluto privilegiare “il sistema” cancellando irresponsabilmente una storia ultracentenaria».

La riforma riguarderà solo le grandi banche popolari oppure è solo la premessa per sradicare la biodiversità nel mondo del credito italiano come afferma il professor Leonardo Becchetti?

«Il sistema bancario italiano è complesso, non ha avuto bisogno di aiuti di Stato come invece è avvenuto in quasi tutta Europa e negli Usa. È fortemente resiliente ma, proprio per questo, avrebbe bisogno di una cura che vada ben oltre la semplice Vigilanza. C’era da attendersi da parte del nostro sistema bancario, che non era ricorso ad aiuti esterni, un cedimento al nono anno di una crisi economica gravissima che ha colpito imprese e famiglie. Anche qui, la Vigilanza e il Governo appaiono poco inclini alla riparazione, all’assunzione del rischio operoso dell’accompagnamento all’uscita dalla crisi, utile a preservare un modello di banca più sostenibile e più attento alle esigenze sociali e al bene comune.

«Sarebbe davvero drammatico per il Paese e il suo modello economico se tutto ciò si trasformasse in una enorme pressione sul credito cooperativo, propedeutica a un nefasto “sconvolgimento genetico”». 

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