Il futuro del Movimento/2
I rappresentanti delle diverse edizioni di Città Nuova hanno intervistato in maniera congiunta la presidente del Movimento dei Focolari, Maria Voce, e il copresidente, Jesús Morán Cepedano. Pubblichiamo a puntate le risposte di questo colloquio che traccia un bilancio della consultazione mondiale e apre nuove piste di impegno. Clicca qui per leggere le prime tre domande.
4. Il movimento vive in contesti sociali e culturali molto diversi. Come può mettere in pratica un’apertura più grande alla società e allo stesso tempo mantenere l’unità interna?
Muriel Fleury, Nouvelle Citè, Francia
Maria Voce
«Se tutti abbiamo lo stesso scopo, l’unità è garantita, perché l’unità sta nello scopo stesso che abbiamo fatto nostro. Ciò dovrebbe essere chiaro a tutti coloro che in qualche modo appartengono ai Focolari: devono lavorare e vivere per un mondo unito; per i cristiani ciò vuol dire realizzare l’unità chiesta da Gesù al Padre nel suo testamento – «che tutti siano uno», ut omnes unum sint –, per gli altri vuol dire cercare la fratellanza universale. Se tutto quello che facciamo converge verso questo scopo, il modo di convergervi è secondario e non scalfisce l’unità. Localmente ci si dovrà perciò prendere quella libertà di progettualità che è utile e necessaria in un Movimento così vasto».
Jesús Morán
«Nel mio gruppo di lavoro all’Assemblea ci si chiedeva se non ci fosse contraddizione tra missione e identità, tra essere come Movimento “in uscita” e mantenere un’identità consolidata. Ma non si può uscire se non si ha un dono da porgere: non possiamo uscire se non siamo uniti e non abbiamo chiaro chi siamo e che cosa abbiamo da dare. L’uscita non può perciò essere una fuga. In fondo i primi cristiani sono subito usciti fuori dalle loro comunità per zelo apostolico, ma poco dopo hanno dovuto fermarsi per capire la loro identità, visto che tra loro le idee erano molto diverse su quel che aveva detto Gesù. Si sono così chiariti, arrivando a definire quali erano i “veri” Vangeli. A partire da quel momento l’espansione del cristianesimo ha conosciuto una forte accelerazione, altrimenti probabilmente non sarebbe sopravvissuto».
5. In che modo ascoltare e mettere in pratica quanto sta dicendo papa Francesco alla Chiesa e alla società di oggi?
Klaus Brusche, Cidade Nova, Brasile
Maria Voce
«Dobbiamo ascoltarlo come lo ascoltano tutti i cattolici, sapendo che ha la grazia, il carisma del magistero. Tuttavia mi sembra che le sue parole ci riportino anche al nostro carisma: dobbiamo ascoltarlo e rispondere alle sue domande con il nostro carisma. Se ad esempio ci invita ad andare verso gli emarginati, certamente lo seguiamo, ma dobbiamo farlo a partire dal carisma dell’unità: anche noi dobbiamo pensare ai poveri e agli emarginati, ma partendo dal nostro specifico, non solo a livello personale, il che è necessario, ma senza mai prescindere dal carisma. Perché? Perché è dono il magistero ed è dono anche il carisma. Mi sono entusiasmata quando papa Francesco ha ditto a Redipuglia che “la guerra è una follia”. È una malattia, quindi è da curare. Quale tipo di cura possiamo offrire noi focolarini? L’unica che abbiamo è il nostro carisma, non abbiamo altro. Un carisma che ci chiede di costruire rapporti di pace, di conoscenza reciproca anche fra persone che non si guardano in faccia, tra persone che si odiano, per contribuire al cammino verso l’unità».
Jesús Morán
«Noi non ci caratterizziamo per la frenetica ricerca di spazi di potere, non è nel nostro stile. Piuttosto cerchiamo di iniziare dei processi. Anche se qualche spazio non sarebbe male che l’occupassimo, noi ci caratterizziamo nell’aprire dei processi. Papa Francesco paragona la Chiesa non tanto a una sfera quanto a un poliedro, affermando così che le tendenze più importanti sono spesso emerse in periferia. Tutto ciò mi sembra che si combini perfettamente con un’Opera che ha un principio di unità molto forte. D’altronde anche Chiara (Lubich) stessa ha fondato molto spesso in periferia, valga per tutti l’esempio dell’Economia di Comunione nata in Brasile, oppure quello dell’ecumenismo che ha acquisito nuove prospettive negli incontri di Chiara con Athenagoras a Istanbul, mentre a Fontem è emersa l’inculturazione “alla focolarina”… Questo principio possiamo viverlo anche noi, e cioè andare alla periferia e cogliere quel qualcosa che vi emerge e che poi diventa universale».
Maria Voce
«Direi addirittura che quasi tutte le fondazioni fatte da Chiara sono avvenute in periferia. Il nostro stile di “inculturazione”, come si diceva, è nato in Africa, e così le scuole sociali sono nate in diversi luoghi nel mondo. Chiara, questo sì, tornando a Roma, le ha poi universalizzate, ma la genesi rimaneva in altri luoghi. Fondazioni di periferia, dunque, ma accolte in un cuore che aveva un carisma e che quindi le universalizzava. Perché questo carisma è un carisma di unità che universalizza».