Il frutto di un rapporto sponsale
Tutti siamo chiamati a dar vita a qualcosa di bello.
All’origine di un carisma, c’è una luce che fa scoprire dimensioni nascoste del Vangelo, un’ispirazione per attuarlo in modo nuovo, un impulso a rispondere alle attese dell’umanità. È così che nasce un’opera nuova nella Chiesa. Ma da dove viene quella luce? Spesso dall’Eucaristia. In tutte le cappelle dei Paolini e delle Paoline sparse nel mondo, accanto al tabernacolo, campeggia la scritta: «Di qui voglio illuminare». Sono le parole che il fondatore, il beato Giacomo Alberione, si sentì rivolgere da Gesù. «Dal tabernacolo – racconta lui stesso – la luce, la grazia, i richiami, la forza, le vocazioni…». Ma anche Ignazio di Loyola nel Diario racconta che proprio dall’Eucaristia gli venivano le ispirazioni su come avrebbe dovuto camminare la sua Compagnia. La stessa Chiara Lubich potrebbe raccontarci le straordinarie illuminazioni che ebbe nel 1949 sulla sua “Opera di Maria”. Quelle grazie mistiche ebbero inizio proprio come frutto dell’Eucaristia e continuarono nella comunione e nell’adorazione quotidiane. «Guardando il tabernacolo, attendevo sul vuoto di me che Dio mandasse la sua Luce», ella scrive, chiamando quella luce “cibo” per l’anima sua e per quella di tutti i suoi seguaci, tanto la nutriva.
Eppure, quando Chiara si volge indietro a guardare il proprio cammino carismatico, non si sofferma ai momenti straordinari che Dio le diede di sperimentare nel 1949, ma ad un rapporto molto più semplice, quotidiano con Gesù Eucaristia. Ricorda episodi concreti, incantevoli, come d’una innamorata, che lasciano intravedere una convivenza intima, un colloquio ininterrotto. Si accorge, con sorpresa, che l’opera alla quale ha dato vita è il frutto d’un legame sponsale con quel Gesù che ogni giorno si è donato a lei per farla carne della sua carne, sangue del suo sangue, anima della sua anima. Lui è diventato la sua vita e la sua luce.
Potrebbe essere la storia di ognuno di noi, perché tutti siamo chiamati a dar vita a qualcosa di bello. Basterebbe lasciarci illuminare dalla “luce del mondo”, nutrirci del “pane di vita”, intrattenerci a tu per tu con Colui dal quale sappiamo essere amati. Il lavoro, la scuola, la famiglia, l’esistenza stessa, da situazioni monotone e insignificanti, diventerebbero luoghi creativi, capaci di suscitare opere grandi o di far compiere gesti semplici, sempre comunque atti a edificare una società più bella. Anche noi potremmo raccontarci ciò che è nato dal rapporto d’amore con Gesù Eucaristia, quell’“affare tra lui e noi”.